Molti articoli di stampa sono stati scritti durante l’estate sul tema del caro voli e sulle pratiche di vendita utilizzate dalla compagnie aeree, in particolare dai vettori low cost, per cercare di ottenere da ogni singolo viaggiatore un ricavo quanto più possibile prossimo alla sua effettiva disponibilità a pagare. L’utilizzo di tariffe dinamiche, che si avvalgono di sofisticati algoritmi matematici, è divenuta prassi a seguito della liberalizzazione europea del mercato e dell’accesa concorrenza a cui essa ha dato luogo. In particolare i nuovi vettori, che grazie alla liberalizzazione si sono sviluppati in competizione con le tradizionali e strategicamente molto più lente compagnie di bandiera, hanno compreso che occorreva riuscire a vendere un identico sedile a bordo a prezzi molto differenziati ai viaggiatori. I passeggeri assegnano, infatti, allo stesso viaggio un valore molto differente, il quale a sua volta genera una differente disponibilità a pagare. Lo studente Erasmus, che deve recarsi nella sede estera per studio e può prenotare con mesi di anticipo, non avrà la stessa disponibilità a pagare del manager al quale hanno fissato una riunione urgente in altra città il giorno prima e il cui viaggio è a carico dell’azienda.



Le alte, e a volte altissime, tariffe aeree a ridosso della partenza di un volo non sono altro che il contraltare delle bassissime tariffe che hanno permesso, a condizione di prenotare con molto anticipo, di viaggiare in aereo a milioni di europei che senza la liberalizzazione non avrebbero potuto permetterselo. Esse sono la quadratura del cerchio che permette alle basse tariffe di convivere con la profittabilità, e dunque anche con la sostenibilità economica, dei vettori aerei. Nella gran parte dei casi la discriminazione tariffaria attua una redistribuzione alla Robin Hood, da chi ha più disponibilità economica verso chi ne ha di meno, e dunque non si comprende perché non ci dovrebbe piacere. In alcuni casi, numericamente limitati, tuttavia essa comporta effetti problematici:



– talvolta le tariffe massime, nel caso di grande domanda per un volo, possono davvero raggiungere valori esorbitanti, tali da rendere un viaggio domestico anche più costoso dell’attraversamento dei sette mari;

– può accadere che qualcuno che non ha grande disponibilità debba comunque viaggiare con urgenza, ad esempio per l’improvvisa necessità di una cura, per malattia di un congiunto o per un lutto familiare.

Questi casi gettano comunque una cattiva luce sui vettori i quali, se avveduti, dovrebbero avere spontaneamente l’accortezza di prevenirli, agendo esplicitamente sui loro sistemi di prenotazione dato che gli algoritmi matematici non sono in grado di tenerne conto in maniera spontanea. Potrebbero, ad esempio, mettere un tetto massimo ai prezzi praticabili, così da evitare che singole tariffe possano decollare verso gli spazi siderali. E fare in modo che il loro servizio clienti possa esentare passeggeri che sono in situazione di difficoltà dal pagare le stesse tariffe di businessmen che stanno per chiudere ricchi affari.



Questa avvedutezza pare tuttavia non sia così diffusa e di fronte a casi eclatanti che si sono verificati è giustamente intervenuto il Governo col provvedimento di inizio agosto, di cui abbiamo parlato a suo tempo. È evidente, data la situazione che si è manifestata, che una qualche forma di regolazione fosse  necessaria, ma in ogni caso sarebbe stato meglio per i vettori attivare un’autoregolazione spontanea in grado di evitarla. Senza il chiasso delle alte tariffe il cane dormiente del regolatore pubblico non si sarebbe svegliato.

Dopo di che si può discutere se il tetto introdotto col provvedimento di agosto (pari al 200% della tariffa media del singolo volo) sia adeguato e se sia o meno il migliore possibile. Personalmente ho diversi dubbi, dei quali il più consistente riguarda la difficile applicabilità della norma, dato che richiede una base informativa non pubblica, non direttamente accessibile dall’esterno e neppure da un ente regolatore. Volendo introdurre un tetto allora era molto più semplice stabilirlo in euro, al lordo o al netto delle tasse e degli oneri aeroportuali.

Ma posto che alcuni prezzi praticati in estate siano apparsi eccessivi, la domanda chiave è se si sia di fronte a un fenomeno generalizzato di caro voli oppure no. L’Enac, l’ente di regolazione del settore aereo, ha sostenuto di sì in un report estivo consegnato a fine luglio al ministero delle Imprese (Mimit). Tale report è stato reso pubblico da Ryanair che lo ha messo a disposizione sul suo sito con commenti a lato che paiono essere di pugno dello stesso istrionico capo azienda Michael O’Leary.

Il quadro che emerge da esso non è tuttavia univoco:

– già da gennaio scorso i prezzi risultano sensibilmente più alti del 2022, tuttavia il confronto avviene con un anno che nella sua prima parte era ancora ostacolato dal Covid e la domanda di viaggi aerei era rimasta debole;

– in valore assoluto i prezzi non sembrano tuttavia alti: il report Enac cita dati elaborati da Leonard Berberi e pubblicati sul Corriere della Sera dai quali emerge un prezzo medio a carico dei passeggeri per viaggio, incluse dunque tasse e oneri aeroportuali ma esclusi ricavi ancillari dei vettori (come bagagli, imbarco prioritario e scelta del posto), che sarebbe salito dai 50 euro del primo bimestre 2023 ai 120 di agosto, circa 20 euro in più rispetto allo stesso mese dell’anno precedente; tuttavia 120 euro al lordo di tasse e oneri aeroportuali equivalgono a circa 95  al netto, dunque quelli che entrano effettivamente nelle casse dei vettori aerei.

Se si considera che l’elaborazione include voli sia nazionali che internazionali e che la loro lunghezza media è stimabile in un range tra 1.200 e 1.500 km,  95 euro netti corrispondono a 64-80 euro per mille km, 32-40 per 500 km, un valore nettamente inferiore al costo di un viaggio di corrispondente lunghezza in treno. Dunque i prezzi sono saliti, ma a partire da quelli ultra contenuti di un anno fa e restano in conseguenza tuttora mediamente contenuti.

Vi è inoltre un modo più preciso per misurare la dinamica dei prezzi aerei: andare a vedere l’andamento della voce dei viaggi aerei nell’indice Istat dei prezzi al consumo, rilevati con criteri omogenei e sulle stesse rotte rappresentative mese dopo mese. L’indice in oggetto è illustrato nel Grafico 1 per gli anni 2019, ante Covid, e 2022 e 2023 per i mesi da gennaio ad agosto. Inutile considerare i due anni di Covid 2020 e 2021, i cui dati genererebbero solo confusione.

Grafico 1 – Prezzi dei viaggi aerei nell’indice Istat NIC (Numeri indice 2015=100)

Dal Grafico 1 emerge quanto segue:

– in anni normali, come il 2019 e 2023, per effetto della stagionalità i prezzi aerei nel picco di domanda di agosto sono all’incirca doppi rispetto ai minimi dei mesi iniziali dell’anno;

– nel 2022 i prezzi erano agli stessi livelli del 2019 sinché il Covid manteneva bassa la domanda, poi si sono impennati in estate sino a triplicare;

– nel 2023 i prezzi sono stati sensibilmente più alti del 2022 già da gennaio, ma la forbice si è progressivamente ridotta (+66% nel primo trimestre e +36% nel secondo) e si è completamente chiusa in luglio e…

– …in agosto i prezzi sono stati più bassi dello scorso anno (-9%)!

Si tratta di un dato sorprendente, sinora non messo in evidenza. I numeri ci dicono dunque che non vi è alcun caro voli generalizzato, anche se ovviamente vi possono essere singoli prezzi molto alti su voli quasi completamente pieni, e che forse è stato fatto tanto rumore per quasi nulla.

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