L’assassino di Carol Maltesi, il 44enne Davide Fontana, ha recentemente chiesto ed ottenuto l’accesso al percorso di giustizia riparativa, dicendosi pentito per l’insano gesto compiuto l’11 gennaio dello scorso anno. Attualmente, il bancario si trova in carcere dopo aver confessato l’omicidio, lo smembramento e l’occultamento del corpo della 25enne con una sentenza di primo grado a 30 anni di reclusione.



Nell’istanza presentata alla corte dell’assassino di Carol Maltesi, Fontana sostiene che “è interesse primario del sottoscritto poter partecipare a tale tipo di programma al fine di riparare, per quanto possibile, ai danni e al dolore provocati ai genitori di Carol Maltesi e soprattutto al figlio Carlos”. Dal conto loro, i giudici che hanno discusso la richiesta della corte, ritengono che “considerato che l’imputato ha manifestato, sin dalla fase delle indagini preliminari, la seria, spontanea ed effettiva volontà di riparare alle conseguenze del reato” e pur riconoscendo che il “percorso prescinde dal consenso” della famiglia di Carol Maltesi, ritengono che “un programma di giustizia riparativa possa essere comunque utile alla risoluzione delle questioni“.



L’ira dei familiari di Carol Maltesi: “Ingiusto, non ci sentiamo sicuri”

Insomma, la corte ha riconosciuto il pentimento di Davide Fontana per l’omicidio di Carol Maltesi, permettendogli di accedere al percorso di giustizia riparativa, purché la famiglia della vittima accetti la richiesta. L’avvocato di Fontana sostiene che “questo è il primo caso in Italia, almeno per il reato di omicidio, dell’istituto entrato in vigore il 30 giugno scorso, a seguito della riforma Cartabia”.

Di contro, invece, la famiglia di Carol Maltesi, specialmente la madre, si è detta profondamente scossa dalla decisione della corte, sostenendo che “il sì dei giudici al reinserimento dell’assassino di mia figlia? Non è possibile, questa è un’ingiustizia… Adesso temo davvero che un giorno il mostro che ha massacrato e fatto a pezzi Carol possa tornare libero”. Dello stesso avviso è anche la Rete Dafne (Rete Nazionale dei servizi per l’Assistenza alle Vittime di reato), che in una nota si dice “profondamente turbata”. “La Corte d’Assise viola il sentimento d’ingiustizia che a distanza di un anno e mezzo dai terribili fatti provano ancora le vittime alla sola idea di incontrare l’imputato“, oltre a temere una possibile vittimizzazione, specialmente per Carlos.