CAROLA RACKETE: “HO VINTO SU MATTEO SALVINI”

Lo ha sfidato apertamente, lo ha contrastato, di fatto lo ha “vinto” ma non tutti nella sua ong erano d’accordo con le sue azioni: le parole di Carola Rackete – la ex capitana della nave Sea Watch 3 che nell’estate 2019 portò a Lampedusa centinaia di migranti salvati in mare – contro Matteo Salvini restano dirimenti per due motivi principali. Il carattere politico del “braccio di ferro” intrattenuto con il Viminale ormai 3 anni fa; e pure la divisione interna alla ong tedesca Sea Watch in merito al famoso “speronamentodella nave italiana della Guardia di Finanza.



Dopo la seconda archiviazione delle accuse nei suoi confronti – proprio per l’ingresso nel porto di Lampedusa con 40 migranti a bordo – Carola Rackete a “La Repubblica” racconta tutta la soddisfazione per la battaglia politica portata a termine: «alla fine Salvini ha perso. Quando siamo salpati sapevamo che il decreto era stato approvato, ma non ci aspettavamo di finire in un conflitto con lo Stato italiano. Dopo il recupero dei naufraghi in mare, è stato chiaro che non ci sarebbe stata una soluzione politica: tutti ci stavano rifiutando il porto di sbarco. È lì che mi sono convinta che dovevo avere il coraggio di sfidare il vostro governo proprio sul campo preparato da Salvini col suo decreto». Il linguaggio assai poco “carino” nei suoi confronti usato dall’allora Ministro degli Interni (“Zecca tedesca”, “terrorista”) viene oggi salutato da Carola con accuse politiche ben precise, «Quel linguaggio del ministro dimostra come dal populismo si scivola facilmente verso l’autoritarismo. Il discorso pubblico è tossico contro le donne, contro i migranti, contro i giovani, contro l’ambiente. Se al timone della Sea Watch 3 ci fosse stato un maschio, Salvini non si sarebbe comportato così. E mi ha rincuorato sapere che dopo il mio arresto decine di persone hanno protestato contro il sessismo».



IL RETROSCENA SULLO SPERONAMENTO DELLA NAVE ITALIANA

Contro il Governo italiano e in particolare contro Matteo Salvini, ma in realtà pure contro i suoi stessi vertici della ong: nella medesima intervista a “Rep” infatti Carola Rackete racconta cosa avvenne nel fitto scambio di messaggi con Berlino nei giorni “caldissimi” dell’arrivo in Sicilia dopo il recupero dei migranti in mare aperto. «Ricordo i tanti conflitti interni a Sea Watch. Da una parte c’eravamo io, il capo missione Philipp e il capo medico di bordo, dall’altra il back office di Berlino»; per l’ex capitana, la scelta di entrare nelle acque territoriali italiane e pure il blocco forzato della marina militare a Lampedusa l’ha vista andare «contro le raccomandazioni del back office. Non avevamo un accordo stabilito o una strategia comune. Ho preso una decisione che trovava contraria una parte della ong». Perché si viene però a sapere solo oggi che non c’era stato il via libera della Sea Watch allo “speronamento” della nave italiana? Per Rackete il motivo è molto semplice: «In pubblico Sea Watch è stata dalla mia parte e mi ha aiutato ad affrontare l’indagine, ma avrei voluto consenso anche a Lampedusa. C’era una pressione incredibile su di me ed ero l’unica in grado di prendere la decisione. I conflitti interni sono stati più difficili da gestire che il conflitto con il governo italiano».

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