Di fronte alla spinta inflazionistica, gli italiani mettono a terra strategie di risparmio, che però, a sorpresa, non toccano il cibo. Sono 24 milioni e mezzo i nostri connazionali che, nonostante l’aumento dei prezzi, non sono disposti a scendere a compromessi nelle loro scelte alimentari. E nei prossimi mesi prevedono di diminuire la quantità, ma non la qualità di quanto portano sulle proprie tavole. A dirlo è l’edizione 2022 del Rapporto Coop che rileva il sorprendente mancato ricorso a un netto downgrading degli acquisti che ha invece rappresentato la prima risposta alle difficoltà nelle precedenti crisi economiche: nel primo semestre dell’anno, infatti, il mix degli acquisti ha perso solo lo 0,1%. I volumi di vendita hanno insomma tenuto (+7,8% nel primo semestre 2022 vs 2019), complice la calda e lunga estate italiana, il ritorno del turismo straniero e la capacità della distribuzione moderna di imporsi sugli altri canali di vendita specializzati.
Una tendenza inattesa, dunque, che merita di essere attenzionata. “Probabilmente con il peggiorare della situazione gli italiani faranno nuovamente ricorso a una riduzione della spesa – si legge nelle note di commento al Rapporto -, ma attualmente il carrello non è più la miniera da cui attingere per finanziare altri consumi, quanto un fortino da proteggere. Forse è questa una delle principali eredità del post-pandemia”. Un fortino che però al suo interno sta cambiando, almeno parzialmente, pelle. Il cibo a cui non si intende rinunciare – emerge dal Rapporto – pare essere soprattutto quello più sobrio e basico, senza orpelli e sovrastrutture; l’italianità e la sostenibilità sono gli elementi imprescindibili che erodono mercato ad altre caratteristiche in passato maggiormente ricercate. Cala così – continua il Rapporto – la presenza sulle tavole di cibi etnici, delle varie tipologie di “free from” (senza glutine, senza ecc.), dei cibi pronti.
Ma l’analisi di Coop si spinge perfino più in là. Secondo il Rapporto, infatti, anche pare subire una battuta d’arresto – gli italiani che seguono questo stile alimentare diminuiti del 38% -, e le stesse marche leader sembrano sacrificabili, avendo visto la propria quota di mercato passare dal 14,9% del 2019 al 13,1% del 2022. Per contro – osserva sempre il Rapporto -, la Marca del Distributore continua la sua avanzata, con una market share arrivata a sfiorare nel 2022 il 30%, grazie a una crescita del 2,0% rispetto al 2019.
Va detto però che l’Italia pare rappresentare un caso se non unico, almeno particolare: oggi, infatti, il mercato tricolore sembra sì manifestare una dinamica inflattiva dei prodotti alimentari lavorati prossima alla doppia cifra, ma mostra anche un ritardo rispetto a quanto avviene in altri Paesi europei. In Germania si è arrivati infatti al +13,7%, in Spagna al +13,5%. E il nostro è l’unico mercato a registrare una tenuta dei volumi.
Una singolarità che, purtroppo – dice il Rapporto Coop -, lascia presagire una inversione di tendenza imminente. Il 2022, e forse ancor di più il 2023 – si legge nel documento – potrebbe essere l’anno più difficile della storia della grande distribuzione organizzata in Italia. Da un lato, infatti, le imprese retail devono fare i conti con l’eccezionale rincaro dei listini industriali e l’esplosione del caro energia. Dall’altro con le difficoltà della domanda finale e con la necessità di attutire l’effetto sulla capacità di acquisto del consumatore. Finora – rileva il Rapporto Coop – i prezzi dei beni alimentari venduti dall’industria alle catene della Gdo sono cresciuti del 15% rispetto allo scorso anno (variazione % tendenziale luglio-agosto 2022-2021), mentre l’inflazione alla vendita nello stesso periodo ha fatto segnare un valore di poco superiore al +9%. Il differenziale fra il prezzo all’acquisto e quello alla vendita segna pertanto un -5,7%. E questo rappresenta – e rischia di rappresentare nei prossimi mesi – un grosso problema per i conti dei retailer. Sui quali – aggiunge il Rapporto – è pronta peraltro ad abbattersi anche un’altra “scure”: sulla base dei futures, infatti i costi energetici, che nel 2019 valevano l’1,7% del fatturato, si moltiplicheranno almeno per tre volte, raggiungendo nel 2022 un’incidenza del 4,7% e del 5,2% nel 2023.
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