DON JULIAN CARRÓN: “SERVE EDUCARE AL LAVORO”

«È necessario andare oltre il dibattito sul salario minimo e sul Reddito di Cittadinanza […] occorre educare al lavoro»: a dirlo è Don Julián Carrón, teologo e docente all’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, intervenuto sul tema dell’emergenza lavoro durante il convegno “Educazione e realtà” di inaugurazione della mostra “Alleanza scuola lavoro. Non è mai troppo tardi” (promossa dalla fondazione Costruiamo il Futuro ed esposta all’Università milanese a fine maggio). Su “Il Foglio” è stato pubblicata una lunga sintesi dell’intervento di Carrón che delinea l’attuale situazione politico-sociale sul fronte lavoro e va ben oltre, scandagliando origini e motivazioni recondite sul cosa realmente possa muovere un individuo tanto al lavoro quanto nella complessità dell’esistenza.



La chiama «una riflessione teologica» lo stesso sacerdote già Presidente della Fraternità di CL: uno potrebbe dunque chiedersi cosa diamine possa centrare il problema del lavoro con una dotta e profonda riflessione di carattere teologico. Ebbene, lungi dall’essere un dibattito “per soli iniziati” (religiosi e simili, ndr) il testo proposto da Julián Carrón va alla radice della problematica attuale: citando Mauro Magatti, «Se non si scopre che il lavoro è qualcosa che ci rende più umani sarà difficile trovare motivazioni per andare avanti». Carrón cita poi anche l’intervento del sindaco di Milano Beppe Sala in merito al fenomeno della Great Resignation (dimissioni di massa dopo la pandemia), «In tutto il mondo cresce la filosofia ‘yolo’, un acronimo per dire ‘si vive solo una volta solaʼ, contribuendo a un cambiamento di scelta del lavoro in funzione della vita. Una trasformazione antropologica. Dibattere solo di smart working è veramente riduttivo».



LAVORO, FELICITÀ E URGENZA: COSA HA DETTO CARRÓN

Come invece scriveva Antonio Polito sul Corriere, citato da Carrón nel suo intervento, «Noi padri abbiamo abusato per decenni dellʼargomento che lʼimpegno nello studio e nel successo scolastico sarebbero stati ricompensati da una vita adulta con più agiatezza e più occasioni di realizzazione […] Sempre di più i nostri figli ci dicono che in futuro faranno altre cose, guadagneranno il necessario con una startup, con i bitcoin o vendendo Non fungible taken o cose così, che noi non conosciamo e di cui non ci fidiamo.” Certo – aggiungo io – rischieranno molte volte di trovarsi con un pugno di mosche… ma questa è pur sempre la situazione presente».



La domanda posta dal sacerdote e teologo è semplice ma enorme: «Qual è il significato del lavoro?». Tenuto conto di quanto diceva già Cesare Pavese, ovvero «Quello che lʼuomo cerca nei piaceri è lʼinfinito, e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di conseguire questa infinità», l’analisi teologica di Julián Carrón prova ad indagare il senso profondo del legame tra lavoro, realtà e individuo. Quando Don Luigi Giussani parlava dell’educazione come «introduzione alla realtà totale» intendeva esattamente l’emergenza che vediamo davanti tutti i giorni: se manca il significato in quello che facciamo, sia il lavoro o la famiglia, i rapporti o gli impegni, «Allʼuomo non basta unʼorganizzazione perfetta […] introdurre alla realtà totale nella scuola, in tutto ciò che opera nel sociale, in ogni rapporto educativo, è ciò che può rispondere alla trasformazione antropologica di cui parla Sala». Il lavoro, prosegue Carrón, è espressione del nostro essere, «ma il nostro essere è sete di verità, di felicità; quindi non esiste cosa che noi possiamo fare, lavoro o opera, da quelli più umili a quelli più geniali, che possa sottrarsi a questo riferimento, alla ricerca di una soddisfazione piena, di un compimento umano, che è quello che senza grandi elucubrazioni la gente sta cercando».

“LA CHIAVE È IL DESIDERIO DI IMPARARE”

Cosa però può realmente rispondere a quella sete, a quella esigenza continua di significato e – in fondo – di felicità? Secondo l’analisi di Carrón è solo una presenza che sia allʼaltezza della nostra esigenza, «solo essa è in grado di rendere umano il nostro lavoro, perché senza questa presenza io lavoro diventa soffocante e quindi uno cerca di giustificarlo dimettendosi e cercandone un altro, senza risolvere veramente il problema, perché si ritroverà nel prossimo tentativo davanti allo stesso problema che non ha risolto precedentemente». Qui entra la disamina forse più complessa ma anche più interessante del teologo spagnolo: «Se la realtà non è la scoperta di quel “tu” che la rende ragionevole e piena di significato, la realtà in fondo ci stufa. Ma per noi cristiani questo “tu” a cui tutta la realtà rimanda, il mistero a cui siamo rinviati in ogni azione per via dellʼinsoddisfazione che proviamo, il “tu” misterioso che sempre incombe su ogni cosa che facciamo è diventato carne. Il significato è diventato carne: Cristo. Cristo che – come dice san Paolo – è la consistenza di tutto e perciò lʼunica speranza che non delude».

Al livello dell’emergenza attuale, dopo crisi economiche e pandemie, il tema del desiderio di felicità assume un’importanza ancora più capitale: «è decisiva una compagnia che sia unʼamicizia operativa in grado di offrire unʼattrattiva nel presente, dentro il lavoro: persone che hanno scoperto che il lavoro non deve essere solo subito ma può diventare altro, qualcosa di cui si può godere e un contributo al bene di tutti». Qui Carrón torna a citare Pavese e lo lega ai rapporti del Censis degli ultimi anni: «Il problema è invece che la prima cosa che deve fare ogni professore, ogni educatore, ogni persona impegnata in un rapporto educativo è ridestare il desiderio, il desiderio di imparare. Eʼ la cosa meno scontata. Il desiderio è la chiave per ricominciare. Come riaccenderlo è la grande questione, il “punto infiammato” di cui parla sempre Cesare Pavese. Siamo uomini, il desiderio si riaccende in me se incontro qualcuno in cui sia acceso, vivido: un testimone, una persona che vivendo così sia per ciò stesso un profeta, nel senso originario del termine, non semplicemente qualcuno che rimanda al futuro, ma che già nel presente riapre il desiderio di impegnarsi per il futuro». Per tutti questi motivi, occorrono secondo il teologo dell’Università Cattolica degli autentici spazi di libertà «dove le persone, i testimoni, i vari soggetti operanti in una società abbiano possibilità di esprimersi»: la libertà di educazione, conclude Carrón, «è cruciale perché chi ha una proposta significativa possa avere lo spazio per poter ridestare chi, i nostri studenti o le persone che si immergono nel mondo del lavoro, in fondo sta solo aspettando che qualcuno lo tiri fuori dal torpore in cui tante volte si trova».