NEW YORK – Camminando per le strade di New York incrocio i maratoneti che camminano con le loro medaglie di partecipazione intorno al collo e l’orgoglio sui loro volti, non solo per aver corso 42,195 km, ma per aver partecipato alla maratona più famosa del mondo. Per questa 50esima edizione che si è svolta ieri (domenica, ndr), la città sembrava piena di un’energia salvifica, si parlava di orgoglio, di messaggi, di simbolo… il cuore batteva forte per tutti, runners o spettatori. Orgoglio di essere tornati in strada, più forti che mai dopo l’annullamento dell’anno scorso a causa del Covid-19.
Un newyorkese lungo il percorso mi ha spiegato che anche all’indomani dell’11 settembre 2001, la città aveva mantenuto la corsa. Lo slogan “United we run” aveva infiammato i partecipanti, alcuni dei quali avevano corso con le pettorine delle vittime degli attacchi in segno di omaggio e di resistenza. Ieri, “The NYC marathon returns”, il ritorno della maratona di New York ha riassunto lo stato d’animo della città, l’energia che si sentiva in strada. Anche se la città è stata duramente colpita dalla pandemia, ha voluto dimostrare che si sta rialzando più forte che mai, come sempre.
Perché la maratona è più di una competizione sportiva, è l’espressione di una città che è diversa da qualsiasi altra. È un eccesso, con 30mila partecipanti e più di 2 milioni di spettatori nelle strade dei cinque quartieri che la maratona attraversa intenzionalmente dal 1976 per mostrare ai newyorkesi che sono una comunità unita e non enclavi separate.
Si parte da Staten Island, si attraversa il ponte di Verrazzano, che tutti conosciamo dalle foto aeree di migliaia di corridori in partenza, Brooklyn, Queens, Manhattan, poi una deviazione attraverso il Bronx e di nuovo a Manhattan con un gran finale a Central Park, dove i partecipanti imparano sulla loro pelle, se non lo hanno già provato, che il parco è fatto anche di salite.
La maratona è il suono di milioni di spettatori che sono venuti con le loro famiglie, tra amici, a gridare il loro sostegno per un padre, una madre, un marito o un collega lungo il percorso. Cartelli in mano, bevande e cibo a portata di mano, i messaggi ci ricordano che gli Stati Uniti sono gli inventori del marketing e dei ted talks: “voi siete i nostri eroi”, “il dolore è temporaneo, l’orgoglio è per sempre”. La maratona è anche la dimostrazione della generosità con la quale gli americani sostengono associazioni o percorsi insoliti: 6mila “charity runners” approfittano dell’opportunità di raccogliere fondi per gli enti di beneficenza. E ogni anno si raccolgono decine di milioni di dollari.
La maratona è lo spirito bonario di cui solo gli americani hanno il segreto, l’entusiasmo di cui traboccano, quest’ammirazione generosa e a volte un po’ ingenua per lo sforzo e lo spirito di competizione, questo senso di festa e a volte di derisione per cui anche uno che corre vestito da hamburger non sembra ridicolo ma al contrario così potente. Lo spirito della maratona è contagioso, l’energia di questa città galvanizzante. Sento me stessa gridare con gli altri “Vai, so che ce la puoi fare!”. È deciso, l’anno prossimo correrò la maratona…
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