NEW YORK – Nessuno è profeta nel proprio Paese. Spettatrice della Maratona di New York lo scorso anno, galvanizzata dall’atmosfera di questa festa popolare che aveva assunto un carattere speciale dopo la cancellazione dell’edizione 2020 a causa del Covid, mi ero ritrovata a sognare di correre i 42 mitici chilometri della maratona più famosa e più ambita del mondo. Oggi, un anno dopo, non sto correndo ma sono di nuovo lungo il percorso, insieme a milioni di altri spettatori, per sostenere gli “eroi”, come scritto su molti cartelli.
Una maratona emblematica, vera espressione dell’energia che anima la città. Attraversando intenzionalmente i cinque quartieri di New York dal 1976 per dimostrare che la città è una comunità unita e non enclavi separate, i 50mila runners, trasportati dalle grida dei sostenitori, genitori, amici, colleghi, elettrizzati dall’entusiasmo bonario e dall’ammirazione sincera del pubblico, corrono tra la folla, alcuni con i volti tesi ma tutti certamente grati per il sostegno. Americani, italiani, francesi, messicani, svizzeri, norvegesi, inglesi, olandesi, bandiere di tutti i Paesi sventolano lungo il percorso. Molti dei corridori sono infatti stranieri. L’Italia è stato il Paese straniero più rappresentato gli ultimi anni. Altro dettaglio, si tratta di una delle gare più femminilizzate, con quasi la metà dei partenti costituita da donne. L’incoraggiamento raddoppia quando passa un corridore in sedia a rotelle o un corridore ipovedente con una guida; sostegno unanime quando passano i “charity runner”, questi corridori che sponsorizzano associazioni e approfittano dell’occasione per raccogliere fondi per la ricerca su alcune malattie. Ogni anno vengono raccolti milioni di dollari grazie alla generosità degli americani. Per alcuni è anche il momento di trasmettere messaggi e di infiammare un pubblico già conquistato: si esulta quando una corridore passa brandendo un cartello “libertà per le donne iraniane” o quando sulle magliette vengono esposte bandiere ucraine.
Come il fuoco nel camino che potrei guardare per ore, guardo i corridori passare, ipnotizzata. Vincitori di questa 51esima edizione il keniano Evans Chebet in 2 ore e 08 minuti e la keniana Sharon Lokedi in 2 ore e 23 minuti. Mentre scrivo queste righe, alcuni di loro stanno ancore correndo. Sono loro i veri eroi.
Domani mattina i nomi di tutti coloro che hanno tagliato il traguardo appariranno sul New York Times. La ciliegina sulla torta!
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