NEW YORKLa Fifth Avenue era di nuovo chiusa giovedì scorso, con la polizia ad ogni angolo. C’era un’atmosfera patriottica a Manhattan, mentre centinaia di bandiere coloravano la città di rosso, bianco e blu.  L’America ha celebrato Veterans Day, la Giornata nazionale dei veterani, il riconoscimento del paese ai soldati che hanno servito in ogni conflitto del pianeta dalla prima guerra mondiale.



Il primo esercito del mondo non scherza sul rispetto che deve a questi uomini e alle loro famiglie, e l’intera nazione riconosce e onora il loro sacrificio. Ai piedi della Public Library, la biblioteca pubblica, trovo il veterano senza casa che ogni giorno, in uniforme, chiama, come una bottiglia in mare: “Per favore, volete aiutare un veterano disabile della Navy?”. Giovedì, fotografato da tutti, era ringraziato per la sua devozione e il suo coraggio. “Grazie per il tuo servizio” gli veniva ripetuto, come a tutti i veterani che camminavano per la città, con le loro medaglie ben visibili sul petto.



Migliaia di spettatori si erano allineati sulle barriere per assistere alla parata dalla prima fila. Al grido di “U-S-A, U-S-A”, una enorme bandiera americana, tenuta da decine di volontari degli attacchi dell’11 settembre 2001, apriva la marcia. Il tono era ben impostato. Bambini e adulti esultavano al passaggio dei cortei. La nazione unita si riconosce nei suoi soldati.

Ma l’arrivo di un carro sponsorizzato da JP Morgan Chase & Co, che recava scritto a grandi lettere di aver assunto più di 16mila veterani dal 2011, mi ha riportato alla realtà. Mezzo secolo dopo l’inferno del Vietnam, dopo la Corea e più recentemente, per citare solo due interminabili conflitti, l’Iraq e l’Afghanistan, l’amministrazione statunitense sta lottando per affrontare il ritorno dei suoi veterani. Di fronte alle difficoltà dell’integrazione, al divario tra vita militare e civile e all’impossibilità per molti di loro di raccontare l’impercettibile, lottano per ritrovare un posto nelle loro famiglie, nella società e forse, visti gli eventi, nella storia del loro paese.



In media 17 veterani si suicidano ogni giorno e altre migliaia lottano con il disordine da stress post-traumatico e l’abuso di oppioidi, gli antidolorifici prescritti a lungo per il dolore cronico che ha ucciso decine di migliaia di veterani nel corso degli ultimi anni ed emarginato tanti altri con i loro effetti di dipendenza. I call center dei veterani ricevono più di 650mila chiamate all’anno da donne e uomini in grande difficoltà. La consapevolezza di questo grave problema sembra essere oggi reale e dopo decenni di negazione e silenzio l’amministrazione americana sembra volerlo affrontare, non solo perché i suicidi dei veterani sono in aumento, ma perché il malessere delle sue truppe rivela forse anche un malessere di più ampia portata, una difficoltà nella popolazione di riconoscersi ancora nei valori del paese.

Il tasso di suicidi in costante aumento in questi ultimi anni, e non solo dei veterani, sembra indicarlo. Sul carro dei veterani del Vietnam, la frase “Mai più una generazione di veterani ne abbandonerà un’altra” poteva essere letta come una promessa o un avvertimento alla nazione.

Le malelingue diranno che il Veterans Day è un giorno per ricordare coloro che sono dimenticati per il resto dell’anno. I campi di battaglia non sono sempre lontani da casa e speriamo che domani sia diverso.

Per le strade, sventoliamo le piccole bandiere americane di plastica che vengono distribuite lungo il percorso. C’è scritto “Made in China” e non posso fare a meno di notarlo.

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