La cedolare secca, che avrebbe dovuto salire al 12,5%, rimane inalterata al 10% anche il prossimo anno. Arriva la nuova Imu, frutto della fusione tra Imu e Tasi, che sarà all’8,6 per mille, con la possibilità concessa ai sindaci di ridurla fino ad azzerarla, ma anche di aumentarla fino a un massimo del 10,6 per mille e solo nel 2020 la nuova Imu potrà essere portata fino all’11,4 per mille. Debutto, sempre nel 2020, di una nuova agevolazione: il bonus facciate per gli interventi edilizi, inclusi quelli di manutenzione ordinaria finalizzati al recupero o restauro della facciata degli edifici, con una detrazione d’imposta lorda pari al 90%. Istituzione di “un programma innovativo nazionale per la rinascita urbana” – destinato a Città metropolitane, capoluoghi di provincia e Comuni con più di 60mila abitanti – con uno stanziamento da 853 milioni fino al 2033 con l’obiettivo di “riqualificare e incrementare il patrimonio destinato all’edilizia residenziale sociale, a rigenerare il tessuto socio- economico, a incrementare l’accessibilità, la sicurezza dei luoghi e la rifunzionalizzazione di spazi e immobili pubblici, senza consumo di nuovo suolo e secondo i princìpi e gli indirizzi adottati dall’Unione europea”. Sono le principali misure per la casa contenute nel disegno di legge di Bilancio 2020. Sono misure efficaci? Segnano un cambio di passo rispetto al governo precedente? Chi avvantaggeranno o penalizzeranno di più? Lo abbiamo chiesto a Raffaele Lungarella, esperto di politiche abitative.
Cedolare secca confermata al 10%, bonus facciate per gli interventi edilizi di manutenzione ordinaria, programma nazionale per la rinascita urbana. Sono le principali misure contenute nella manovra 2020 per la casa. Sono misure valide?
E’ senz’altro positiva la rinuncia all’aumento della cedolare secca al 12,5%, come era stato ventilato. Il gettito, tra l’altro, sarebbe aumentato appena di un centinaio di milioni o poco più e lo si sarebbe potuto ottenere anche alzando di un punto l’aliquota della cedolare sui canoni di mercato. Fosse stato attuato l’incremento di due punti e mezzo della cedolare secca, il gioco economico e finanziario non sarebbe valso la candela, perché politicamente si dava l’impressione di voler colpire una misura che ha una sua valenza sociale: la cedolare secca comporta dei canoni più bassi rispetto a quelli di mercato e, se si diffondesse ancora di più, potrebbe fare da calmiere per gli altri canoni, soprattutto in una situazione di mercato in cui la domanda è debole. Ancor più positivo, poi, sarebbe rendere permanente l’aliquota del 10%.
Nel 2020 dovrebbe debuttare anche il bonus facciate…
E’ un buon sostegno agli investimenti e al decoro urbano. Questi interventi hanno un impatto sull’occupazione abbastanza rilevante, perché coinvolgono soprattutto artigiani e piccole imprese. E su questi lavori lo Stato incassa Iva e Irpef. Naturalmente bisognerà poi verificare a quanto ammonterà la dotazione finanziaria complessiva, perché rifare una facciata non costa poco. Quindi questa misura potrebbe aiutare chi ha un reddito non molto sostenuto.
Arriva anche la nuova Imu, che accorpa Imu e Tasi. Che ne pensa?
La speranza è che si tratti di una semplificazione e che non si trasformi in un’occasione per aumenti più o meno mascherati. In alcuni casi, tra Imu e Tasi, oggi le aliquote possono arrivare anche all’1,06%…
Chi viene avvantaggiato di più e chi viene penalizzato di più dalle misure della manovra 2020?
Chi utilizza i bonus è sicuramente avvantaggiato. Trovare chi viene penalizzato è un po’ difficile dirlo astrattamente. Se la cedolare secca fosse stata aumentata, per esempio, avrebbe semplicemente portato a una riduzione della convenienza per i proprietari ad affittare.
Rispetto al governo precedente si può parlare di cambio di passo? Ed è un passo in avanti?
Nel programma del nuovo governo c’è la persecuzione degli interventi sull’emergenza abitativa. Il precedente governo non era intervenuto. Adesso bisogna vedere se il nuovo Esecutivo investirà davvero il miliardo di cui si parla: non è una grande cifra, perché 500-600 milioni servirebbero solo per integrare il Fondo affitti e sarebbe buona cosa anche mettere qualche risorsa per recuperare gli alloggi di edilizia popolare, ma l’ammontare finanziario dovrebbe essere più rilevante. A mio avviso, nel complesso, non si vede una grande inversione di tendenza.
Che cosa ci vorrebbe allora?
Ho avanzato un’ipotesi: un piano da 10 miliardi per costruire 100mila case popolari, in un’operazione che coinvolgerebbe anche i Comuni, i quali dovrebbero mettere a disposizione le aree già preventivate, con piccolo consumo di suolo, da affidare all’edilizia residenziale. E’ un piano fattibile, perché la spesa sarebbe spalmata su più anni, sul modello del Piano decennale della casa della legge 457/1978, che fu realizzato con i cosiddetti limiti di impegno. In sostanza, si tratta di iscrivere una cifra che si ripete per un certo numero di anni per ammortizzare i mutui, perché lo Stato può strappare dei tassi più convenienti rispetto ai singoli. Se fosse attuato, questo piano potrebbe fare da volàno per gli investimenti.
(Marco Biscella)