Finalmente è nato. Una lunga gestazione che ci ha lasciato in attesa senza comprendere il motivo a questo trascorrere temporale. Effettivamente i tratti del nascituro erano evidenti e noi stessi avevamo addirittura dichiarato apertamente il nostro parere sull’esito di tale creazione.

Durante le molte settimane e i numerosi mesi, il susseguirsi dei numeri evidenziavano la conferma della tesi di chi scrive, ma la parola fine a questa agonia mancava. All’inizio di questa settimana, però, l’esito è giunto e per goderne a pieno è, tuttavia, necessario fare un passo indietro tornando a fine maggio 2023. Su queste pagine, a commento del “Sondaggio congiunturale sul mercato delle abitazioni in Italia“, si leggeva: «Dietro un’apparente stabilità dei prezzi non arrivano buone notizie sul mercato immobiliare dalla Banca d’Italia». Questa da noi definita «apparente stabilità» capitolava in un giudizio poco lusinghiero: «il riscontro di un prezzo stabile è pressoché indicazione di male, incertezza, problema».



Alla base di questa difficoltà si faceva un banale ragionamento che fondava le proprie considerazioni sull’impossibilità di poter concludere una transazione poiché in assenza di un prezzo condiviso. Scrivevamo: «Altra situazione, poco diffusa e, indubbiamente difficile da ricavare attraverso gli stessi numeri è quella dove un prodotto o servizio potenzialmente interessante, pur trovandosi sul mercato, non concretizza l’effettivo scambio venditore-compratore a causa di un’oggettiva distanza tra le singole offerte. Una sorta di cosiddetto ineseguito che, complice l’assenza di una concreta relazione tra la controparti, registrerà un nulla di fatto». Riteniamo che il caso riportato sia sufficientemente chiaro.



Oggi, a distanza di oltre nove mesi, sempre riferendoci al “Sondaggio congiunturale sul mercato delle abitazioni in Italia” (diffuso lunedì), si può chiaramente riscontrare quanto segue: «L’assenza di un prezzo di equilibrio fra domanda e offerta (sia per proposte troppo basse sia per richieste troppo elevate) rappresenta la causa prevalente di cessazione dell’incarico a vendere per più del 50 per cento degli agenti». Sono parole (scritte) di Banca d’Italia in tema di criticità nel mantenere in essere gli incarichi ricevuti dagli agenti immobiliari.

Il nuovo rapporto pubblicato presenta (ancora) luci e ombre: «Secondo l’indagine condotta presso 1.501 agenti immobiliari dall’8 gennaio al 5 febbraio del 2024, la dinamica congiunturale dei prezzi degli immobili nel IV trimestre del 2023 si sarebbe nel complesso attenuata; restano prevalenti (oltre due terzi degli operatori) i giudizi di stabilità». Come appare evidente la «stabilità» (ancora) perdura. Il motivo? «La domanda è rimasta debole: nonostante il recupero rispetto al trimestre precedente, la quota di agenzie che hanno venduto almeno un’abitazione resta inferiore a quella registrata nello stesso periodo dello scorso anno per il quarto trimestre consecutivo. Circa il 40 per cento degli agenti ha registrato una riduzione sia dei nuovi incarichi a vendere sia dei potenziali acquirenti». Ecco gli effetti della “stabilità” e dell’essere stabile.



Non solo. A corollario del presunto e innocuo stallo prende, anche, forma un potenziale problema strutturale: «La difficoltà di reperire il mutuo è la causa prevalente di cessazione dell’incarico a vendere per circa un terzo degli operatori e la percentuale di acquisti finanziati con mutuo si è attestata su valori bassi nel confronto storico».

Oggettivamente potrebbe apparire come una non notizia poiché strettamente correlata all’attuale carovita dei tassi di interesse: prezzo di finanziamento troppo alto, cliente scontento, incarico andato in fumo, quindi attesa. E ancora il ritorno della consueta stabilità.

In tutto questo, però, tra le infinte righe emerge un dato non svelato e, forse, a molti osservatori non evidente. L’argomentazione è semplice e non richiede conoscenze specifiche, infatti, è alquanto elementare: logico. Come riportato, l’acquisto immobiliare risulta vano poiché c’è «difficoltà di reperire il mutuo». Sicuramente, agli attuali tassi di interesse, gli istituti di credito non farebbero grande ostruzionismo nell’erogare liquidità ai loro correntisti finalizzata all’acquisto. Pertanto, il vero problema, non è in capo alle banche, bensì ai richiedenti che, non essendo abbastanza capienti, si vedono negare la fattibilità in sede di preanalisi documentale. In molti potrebbero confermare questa nostra ipotesi e sottorubricare la stessa a banalità. Purtroppo di banalità non si tratta, infatti, c’è un problema latente, invisibile, silenzioso. Nascosto, ma, presente. Reale.

Se attualmente tale impossibilità è concreta, allora, bisognerebbe interrogarsi sullo stato di salute finanziaria di tutti coloro che, sottoscritto un contratto di mutuo negli scorsi anni (rif. livello di tassi a zero) si stanno imbattendo giornalmente in un costo esorbitante del loro finanziamento. Domanda spontanea: siamo certi che l’allora precedente “busta paga”, oggi, possa garantire la sufficiente provvista mensile? Il timore di incappare in una risposta negativa è pressoché sinonimo di certezza. Se ciò trovasse conferma le possibili conseguenze sono essenzialmente due: la prima in capo alle banche ed è rappresentata da un incremento di insoluti; la seconda, invece, coinvolge i clienti con un ricorso a forme ulteriori di “sussistenza finanziaria” attraverso altre forme di indebitamento quale “nuove fonti” per alimentare (e sostenere) il precedente e originario prestito (rif. mutuo) dando vita alla cosiddetta crisi da sovraindebitamento.

Attualmente, di entrambe le casistiche, non ci sono tracce evidenti. Nulla da segnalare. Ennesima stabilità.

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