In pieno centro storico di Verona, a trecento metri da Castelvecchio e dall’omonimo splendido, storico ponte sull’Adige, a settecento metri a piedi da piazza Brà, nell’ex monastero delle Sorelle povere di santa Chiara, la Caritas diocesana di Verona ha ricavato Casa Santa Elisabetta, uno spazio di accoglienza per famiglie in difficoltà, particolarmente per madri con figli.



I lavori di restauro e ristrutturazione, che han permesso di ricavare otto appartamenti, sono iniziati nel 2018, mentre le prime otto famiglie ospiti sono entrate nel 2020. Tutta l’opera, del costo di 500 mila euro, realizzata nel rispetto dei dettami della Soprintendenza alle belle arti, è stata sostenuta con i fondi dell’8xmille alla Chiesa cattolica italiana. E sono stati ricavati anche una grande sala interna, dove i bambini delle diverse famiglie ospiti studiano e giocano insieme, una bellissima corte esterna. Tutti spazi di vita comune utilizzati anche per attività culturali, corsi extra-scolastici, cene di gruppo, per i 12 diversi laboratori che i volontari realizzano per far scoprire o ritrovare a ognuno le proprie capacità e potenzialità, come giardinaggio, informatica, lettura per donne o minori, circolo di parola, pasticceria, cucina, ceramica, creativo per minori, aiuto-compiti, narrazione-video, bicicletta e teatro.



Oggi, a Casa Santa Elisabetta, sono accolte 19 persone, seguite da 11 volontari, che le accompagnano anche con l’obiettivo di favorire rapporti di amicizia e aiuto reciproco.

“Per gli ospiti che vengono a vivere in quest’oasi – racconta don Gino Zampieri, già direttore della Caritas per la Diocesi di Verona – si apre un’accoglienza insperata, al termine dell’accompagnamento da parte delle istituzioni. Non si sentono più soli, abbandonati, vedono che possono aiutarsi anche tra loro, sentono che c’è un accompagnamento che consente di fare poi l’ultimo passo, rendersi nuovamente autonomi, dentro la vita civile perché la permanenza massima a santa Elisabetta è di 24 mesi. Qui si conoscono e, accompagnati dai nostri volontari, sperimentano una rete di solidarietà che tante volte queste famiglie continuano a mantenere, anche quando raggiungono un’autonomia all’esterno della residenza”.



“Posso dire di aver incontrato delle persone speciali, alle quali diamo un aiuto, dei servizi – aggiunge Lucia Di Palma, responsabile dell’accoglienza a Casa santa Elisabetta -, ma da loro riceviamo tanto, perché facciamo esperienza di accoglienza e proviamo concretamente che aprire le porte è un guadagno. Non c’è da perdere nell’accoglienza, perché vale sempre la pena. Nella Casa mettiamo al centro le esigenze dei singoli e la progettazione viene costruita insieme alla famiglia; chiediamo agli ospiti di essere protagonisti del loro percorso e d’impegnarsi anche a servizio della collettività. Molti, una volta reinseriti nella società, continuano a sentirsi legati alla Casa e si trasformano da assistiti in volontari. Questa, per noi, è un’ulteriore, bellissima vittoria”.

E Natalia Volpe, ospite della Casa d’accoglienza, racconta volentieri l’esperienza concreta di una famiglia che si è trovata in difficoltà: “Io e mio marito Roberto, siamo nati in Argentina, dove sono nati i nostri due bambini e avevamo il lavoro e una casa. Eravamo messi bene. Poi è arrivato il Covid, abbiamo perso il lavoro e in Argentina non avevamo più alcuna prospettiva. Perciò, abbiamo pianificato il trasferimento in Italia e la ripartenza con il lavoro, ma non pensavamo che sarebbe stato così difficile trovare un alloggio per la famiglia. La risposta alla nostra ricerca era sempre negativa. Ed è stata una gioia incredibile il giorno in cui Lucia mi ha chiamata, per dirmi che c’era un appartamento per noi”.

Tocca, infine, a Lucia Di Palma specificare che “è il Centro di ascolto Caritas a gestire gli accessi su segnalazione dei Servizi sociali. Solitamente, le famiglie che accedono agli alloggi di Casa Santa Elisabetta hanno già una piccola entrata economica e possono pertanto contribuire al pagamento delle utenze. Si tratta di un gesto importante nel percorso di crescita, perché responsabilizza verso una nuova e completa indipendenza”.

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