Nei tempi recenti, il patrimonio immobiliare italiano, di appartenenza sia pubblica che privata, è stato collocato al centro delle politiche ambientali dell’Unione Europea, a causa di due caratteristiche patologiche comuni in tutti Stati membri: l’alta capacità energivora degli immobili e il loro elevato tasso di emissioni inquinanti (di gas serra, come la CO2), che danneggiano l’ambiente, gli ecosistemi e la salute.



Il legislatore europeo è così intervenuto per rispondere a tali criticità adottando la Direttiva (UE) 2024/1275 “EPBD” (acronimo di “Energy Performance of Building Directive”), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea l’8 maggio 2024, detta anche Direttiva “Case Green”. Tale provvedimento normativo pone l’obiettivo di provvedere all’efficientamento energetico degli immobili destinati all’uso sia abitativo, sia di esercizio commerciale.



In questo articolo ci si sofferma, in particolare, sugli immobili destinati all’uso abitativo, perché di fronte all’emanazione della suddetta Direttiva, il Governo italiano ha dato una risposta in totale controtendenza, che mira invece a favorire la sanatoria e la commercializzazione degli immobili, ancorché non “prestanti” o difformi rispetto alle leggi sull’edilizia e sull’igiene, e agli strumenti urbanistici comunali. L’adozione del Decreto-Legge 29 maggio 2024, n. 69 (convertito con modificazioni nella recente Legge 24 luglio 2024, n. 105, in vigore dal 28 luglio), si colloca tra le misure sulle abitazioni che prevedono la semplificazione e la liberalizzazione degli interventi necessari alla legittimità degli immobili dal punto di vista urbanistico-edilizio.



Non si può pertanto fare a meno di evidenziare come la casa si trovi attualmente al centro di interventi eterogenei, miranti a realizzare diversi interessi, tanto pubblici quanto privati, che sembrano non incrociarsi, ma anzi orientarsi in direzioni opposte.

Dapprima giova riportare alcuni dati statistici in materia di patrimonio immobiliare abitativo, al fine di delineare un quadro chiaro del contesto nel quale ci si muove.

Si è innanzitutto rilevato come gli edifici risultino responsabili del 40% del consumo finale di energia nell’intera Unione Europea, e del 36% delle emissioni di gas a effetto serra associate all’energia. In particolare, oltre all’anidride carbonica (CO2), gli edifici europei sono responsabili dell’emissione di circa il 50% del cosiddetto “particolato fine” (PM2.5), una polvere sottile altamente dannosa per la salute umana.

L’obiettivo prioritario della citata Direttiva Case Green consiste nell’agire in via prioritaria sul 15% degli edifici più inquinanti dell’Unione, rientranti nelle classi energetiche più basse. In Italia, gli immobili residenziali rientranti nelle classi F e G (secondo l’abbecedario normativo sulla prestazione energetica degli edifici) sono circa 5 milioni, di cui 1,8 milioni in classe G (come rilevato dall’INSTAT). La Direttiva prescrive, inoltre, che gli Stati membri rispettino alcune scadenze temporali di medio periodo, per addivenire infine alla neutralità energetica del 55% degli edifici europei al 2050: una riduzione del 16% entro il 2030, per poi passare al 20-22% entro il 2035.

La prima fase riguarderà pertanto 5 milioni degli immobili più energivori, salve alcune ipotesi espressamente escluse dalla Direttiva (come gli edifici di culto o quelli protetti da vincolo storico-artistico).

L’ordinamento italiano dovrà stabilire, a fronte degli obiettivi e dei tempi dettati dalla Direttiva, con quali mezzi e modalità intenderà centrare questi target, di non facile raggiungimento per gli elevati costi da sostenere. Le prime stime economiche parlano di investimenti in ristrutturazioni edilizie per l’efficientamento ammontanti a circa 180 miliardi di euro, cifra alquanto alta rispetto alla disponibilità finanziaria che lo Stato vanta per incentivare gli interventi a mezzo dei bonus fiscali, considerato l’alto debito pubblico (che sfiora i 3.000 miliardi di euro), gli interessi sul debito e i vincoli da rispettare nella Legge di bilancio.

La Direttiva fissa in 24 mesi il tempo necessario per attuare ed integrare i principi previsti nel sistema legislativo di ogni Paese, e l’iter legislativo dovrà essere concluso almeno quattro mesi prima del termine indicato, quindi entro gennaio 2026.

Come si è anticipato in principio, la risposta del Governo italiano, al momento, non si è attestata sulla dimensione di sostenibilità ambientale degli edifici, bensì sull’ampliamento e sulla riformulazione degli interventi e delle norme sulla conformità degli edifici alla normativa urbanistico-edilizia. Un intervento che prevede regole più flessibili per la commercializzazione degli immobili. Si tratta, tuttavia, secondo alcuni, di (ulteriore) condono edilizio generalizzato, dal momento che si amplia fortemente il regime delle sanatorie.

Senza addentrarsi eccessivamente nei tecnicismi, la sostanza del Decreto “Salva casa” riguarda tre profili di intervento sul Testo unico dell’Edilizia (DPR n. 380/2001) e leggi speciali collegate, che vede la presenza di sei nuove procedure di sanatoria. Dapprima, rileva l’ampliamento delle tolleranze costruttive ed esecutive, ossia quelle percentuali di difformità della situazione di fatto degli immobili ai limiti delle normative regionali e locali, che arrivano oggi al 6% (dal 2% previgente).

In secondo luogo, una novità della legge di conversione del Decreto consiste nella possibilità, qualora sussistano abusi edilizi nel condominio, di potere comunque procedere ad effettuare lavori di riqualificazione (ad es. manutenzione straordinaria ovvero ristrutturazione edilizia) in un singolo appartamento. E viceversa, anche nel caso in cui l’abuso edilizio sia all’interno di un singolo appartamento, si potrà comunque procedere ad effettuare i lavori nelle parti comuni del condominio stesso. Questo secondo profilo forse rappresenta uno dei pochi punti di raccordo con gli obiettivi della “Direttiva Case Green”, in quanto allenta la rigidità normativa sulla possibilità di ristrutturazione edilizia.

In terzo luogo, un’altra modifica impattante introdotta in sede di conversione prevede la possibilità di sanare anche alcune “difformità parziali” dal titolo edilizio, poiché vengono incluse anche le variazioni essenziali al titolo presentato (anteriormente al 30 gennaio 1977 prima della vigenza della Legge Bucalossi) al Comune, il quale abbia già constatato la presenza dell’infrazione nel certificato di agibilità/abitabilità e non abbia ordinato la demolizione. Questo significa, in sostanza, che la sanatoria è possibile anche con aumenti consistenti della volumetria dell’immobile rispetto alla licenza/concessione edilizia rilasciata in origine, previa presentazione di una SCIA in sanatoria e pagamento della sanzione per ottenere l’accertamento di conformità. Permangono in ogni caso dei paletti, anche considerando che tutto quanto dovrà essere verificato dal tecnico abilitato, sotto sua responsabilità (e questo ha già sollevato le critiche degli ordini professionali coinvolti).

Infine, si riscontra una diminuzione delle sanzioni pecuniarie e di esclusione della stessa sanzione come nel caso delle tolleranze, le quali potranno essere dichiarate dai tecnici (anche in fase di compravendita) senza procedimento né obbligo di pagare sanzioni.

Alla luce delle nuove tendenze normative, si prospetta nei tempi a venire una maggiore flessibilità nella compliance dello stato dell’immobile, specialmente ai fini della commercializzazione, con conseguente previsione di miglioramento del mercato immobiliare.

Ma viene da domandarsi, sotto quest’ultimo punto di vista, quanto repentinamente possa scendere il valore venale di un immobile che rientra nelle classi energetiche più basse (le F e G di cui si è detto), ossia la maggior parte delle case in Italia.

Come “salvare” davvero le abitazioni non efficienti dalla spada di Damocle della Direttiva europea? E più in generale, come riuscirà a rimanere in equilibrio un sistema che favorisce la vendita senza ristrutturazione oggi, imponendo ai nuovi acquirenti di ristrutturare per l’efficientamento energetico domani, senza incentivi e a costi alquanto elevati?

Nonostante l’intento condivisibile della Direttiva di rendere più sostenibili le prestazioni energetiche degli immobili per ridurre le emissioni, rimane peraltro un alto grado di incertezza su come riuscire a coordinare le strette tempistiche per la sua attuazione (24 mesi) con la scarsa disponibilità economica delle casse erariali.

Non resta che coinvolgere il privato come finanziatore, oltre che come attuatore (come fu nella stagione dell’“urbanistica consensuale”, secondo l’insegnamento di Paolo Urbani), e trovare nuovi vantaggi economici per i soggetti che intervengono, senza ricorrere soltanto a bonus fiscali a carico della finanza pubblica. Si pensi allo scomputo degli oneri di urbanizzazione.

In conclusione, si può constatare come il legislatore attuale abbia provato a risolvere le problematicità della casa nel brevissimo periodo, soprattutto per favorire il mercato immobiliare, fermatosi a causa dell’inflazione e dell’aumento dei tassi della BCE, e non abbia prestato attenzione alle criticità di medio-lungo periodo. D’altronde, l’attuale maggioranza di Governo, in Europa, ha votato contro la Direttiva Case green, assieme all’Ungheria. Ma tale direttiva dovrà comunque ricevere attuazione, a pena di ulteriori procedure di infrazione da parte della Commissione UE.

Non resta così che auspicare un ulteriore finanziamento di livello europeo, sulla falsariga del piano RePowerUE (7° pilastro del PNRR), ma destinato specificamente alle abitazioni. Senza peraltro dimenticare il livello interno, nel quale gioverebbe una realistica programmazione o pianificazione straordinaria dell’edilizia privata, che sappia coniugare le esigenze energetico-ambientali con quelle economiche, al momento direzionate in senso opposto.

Affrontare la sfida della transizione ecologica degli edifici senza slogan o finalità elettorali contingenti, e con serio pragmatismo, al contempo risulta un assunto banale e una fondamentale azione politica. L’art. 9 della Costituzione lega la tutela dell’ambiente all’interesse delle future generazioni, e questo obiettivo dev’essere accolto con la massima connivenza anche nell’ambito delle azioni che interessano il patrimonio immobiliare.

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