La direttiva Ue sulle case green rischia di subire un brusco stop, complice l’intervento della Bce. Il prossimo 9 febbraio il Parlamento europeo sarà chiamato a votare sulla norma, ma Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, ne ha sottolineato le “preoccupazioni” e i “rischi di squilibrio”. A essere finito nel mirino della Bce è il metodo per la definizione delle classi energetiche: in buona sostanza, la bozza della direttiva determina che gli immobili residenziali siano almeno di classe energetica F da gennaio 2030 ed E dal 2033.
Il punto è, come si legge nella lettera sulle case green inviata nei giorni scorsi da Christine Lagarde alla Commissione, che “si limita a stabilire criteri comuni per le classi migliori e peggiori per ogni stato membro (gli edifici G saranno definiti come il 15% peggiore in ogni Stato, seppure con prestazioni energetiche reali molto diverse) senza armonizzare le definizioni e le metodologie”. Una mancata armonizzazione del provvedimento, dunque, potrebbe “ridurre la comparabilità tra gli Stati” e “ridurrà anche l’utilità degli Epc come rating della rischiosità di uno specifico immobile”.
CASE GREEN, LAGARDE: “SERVE METODOLOGIA PIÙ ARMONIZZATA”
In particolare, secondo il numero uno della Banca centrale europea, qualora venisse adottata la metodologia più armonizzata da lei invocata, questa non farebbe altro che aiutare la Bce nelle funzioni di vigilanza prudenziale a valutare l’impatto dell’efficienza energetica sulle esposizioni immobiliari degli istituti di credito, sulla base di dati affidabili e di definizioni comuni e standardizzate dell’Unione.
È lapalissiano che la preoccupazione di Lagarde sulla direttiva europea legata alle case green non potrà non essere tenuta in considerazione da parte della Commissione e dell’Europarlamento. L’incognita reale, semmai, è rappresentata dalle tempistiche tese a porre in atto l’armonizzazione invocata dalla Bce: è logico pensare che serva ben più di qualche semplice mese, in quanto, ad esempio, l’efficienza degli immobili in Svezia e Olanda è già oggi di gran lunga superiore a quella di Italia e Spagna, nazioni che, a conti fatti, in media sarebbero chiamate ad avviare la ristrutturazione di due immobili su tre.