La BCE non molla i tassi di interesse e il mercato immobiliare ne risente: le condizioni delle banche sono troppo stringenti e la gente rinuncia a comprare. Tanto che sarebbero addirittura 300 mila le famiglie che hanno rinunciato ai loro propositi, nonostante la ferma intenzione di comprarsi una casa. Il settore, spiega Elena Molignoni, responsabile dell’Osservatorio immobiliare di Nomisma, cresce nelle vendite senza mutui, cioè per coloro che hanno disponibilità finanziarie sufficienti per affrontare un acquisto senza dover chiedere aiuto a un istituto di credito. I dati del 2024, insomma, certificano il gap esistente tra ricchi e poveri, tra persone abbienti e altre che lo sono meno, che devono attendere momenti più propizi per mettere in atto un’intenzione che appartiene a molte famiglie italiane: quella di diventare proprietarie della loro casa.



Negli ultimi 18 mesi c’è stato un calo delle compravendite che si traduce sull’anno in una riduzione tendenziale delle operazioni dell’8%. Un calo accettabile dovuto all’andamento del mercato o che comincia a preoccupare?

È un calo che ci sta alla luce della congiuntura, soprattutto se si tiene conto dei tassi di interesse e delle restrizioni da parte delle banche nella concessione del credito. Pesa la decisione della BCE di mantenere i tassi su livelli piuttosto elevati. C’è stato un abbassamento, troppo contenuto però, rispetto alle aspettative di chi vuole comprare. Un calo che non ha comportato il ritorno sul mercato di quella fetta di domanda, piuttosto importante, che accede alla proprietà sottoscrivendo un mutuo. La differenza sostanziale la fa questa componente del mercato. Se dovessero crearsi le condizioni per tassi di interesse più sostenibili per le famiglie, ci sarebbe un ritorno sul mercato, perché le intenzionalità di acquisto sono alte.



Nel giro di due anni le compravendite coperte da un mutuo sono passate dal 51,9% al 38,6% e 300mila famiglie intenzionate a comprare casa non hanno potuto farlo. Sono le banche che non concedono i mutui perché non si sentono garantite dalla situazione finanziaria delle famiglie o gli acquirenti che si trovano di fronte a condizioni insostenibili?

C’è una componente di decadimento che è strutturale, di persone che manifestano il desiderio di comprare ma non fanno i conti con le reali disponibilità. Poi c’è chi ha valutato troppo oneroso il costo del debito e per questo è uscito dal mercato. Infine, a una terza componente è stato rifiutato il mutuo per effetto delle condizioni stringenti delle banche. Quest’ultima situazione è quella che incide di più: le banche non vogliono accollarsi il rischio perché non hanno certezze in merito alle prossime decisioni della BCE sui tassi. Non vogliono correre il pericolo dell’insolvenza di famiglie cui mancano le disponibilità adeguate a sostenere rate alte dei mutui.



Crescono del 4,8%, invece, gli acquisti senza mutuo, contro una diminuzione del 26% di quelli con i mutui. Come si spiega questo incremento?

Le transazioni, che comunque sono state abbastanza significative, le ha realizzate soprattutto chi aveva liquidità.

Vuol dire che si allarga il gap tra famiglie povere e ricche?

È la dimostrazione che questo divario esiste. C’è chi può e chi non può. Dietro il fenomeno c’è un divario tra fasce di popolazione. Chi accede al mercato senza mutuo è disposto a sopportare un aumento dei prezzi delle case per far fronte al quale bisogna avere molta disponibilità. Il mercato sta diventando molto selettivo. In questo contesto, comunque, c’è anche chi si rivolge a un mercato meno apprezzato, periferico, con immobili che possono essere di qualità più bassa.

Il mercato, quindi, va bene per gli immobili di un certo livello?

Chi ha disponibilità cerca immobili di qualità: in prospettiva gli immobili ristrutturati sono più ricercati, hanno una classe energetica più alta e questo conta molto in ragione degli interventi di riqualificazione energetica che prima o poi si dovranno affrontare a causa della direttiva UE sulle case green. Si cercano tipologie di abitazioni che hanno già caratteristiche tali da evitare di dover intervenire tra qualche anno.

Anche nel campo delle locazioni i canoni sono aumentati (più 2,5% su base semestrale), la difficoltà a comprare ha spostato una parte dei clienti su questo mercato?

Le locazioni, secondo i dati dell’Agenzia delle entrate, sono leggermente calate, vale sia per i nuovi contratti che per i rinnovi. La diminuzione è dovuta al fatto che l’offerta è rarefatta, ce n’è poca. La domanda è alta ma l’offerta è bassa e questo genera da una parte minori contratti stipulati e dall’altra una pressione sui canoni. Se le offerte sono poche, si può pensare di alzare il canone perché c’è una domanda molto forte, è una legge di mercato.

Mediamente in neanche due mesi si riesce ad affittare una casa, a dimostrazione che effettivamente la richiesta è alta. Chi sono i richiedenti, universitari, famiglie, persone che devono soggiornare per lavoro in un dato luogo?

Ci sono le famiglie, i lavoratori in mobilità, gli studenti. Difficile scomporre il dato. Alcuni nuclei familiari lo fanno per scelta, ma è una componente più bassa rispetto a chi va in affitto in attesa di comprare casa. Un’attesa condizionata dalla congiuntura o dai mutui che per il momento sono troppo alti. In prospettiva l’intenzione resta quella della proprietà. In Italia c’è una propensione alla proprietà molto alta, anche se in prospettiva ci andremo ad adeguare alla situazione degli altri Paesi, con una componente di affitto sempre più consistente: le famiglie per tanti motivi sono più mobili rispetto al passato.

La vostra ricerca ha evidenziato comunque delle differenze anche consistenti tra le città italiane. Da cosa deriva?

Nel tempo queste differenze tendono a ridursi, soprattutto in momenti di stanca del mercato. Esistono comunque caratteristiche di base che sono legate alle specificità dei mercati: ogni città ha la sua storia e se la porta dietro. Dipende dalla capacità di spesa delle famiglie, dal sistema produttivo, dagli stili di vita. Ogni città è una sorta di mondo a parte. Si tratta di differenze che si riducono quando il mercato è in crisi.

I prezzi in assoluto, però, tendono ad alzarsi?

Sì. È difficile che i prezzi subiscano cali importanti nella storia del mercato italiano.

Per rilanciare le compravendite, quindi, occorre un abbassamento dei tassi di interesse da parte della BCE e un adeguamento di quelli dei mutui?

Secondo noi questo è l’elemento che può cambiare la situazione.

(Paolo Rossetti)

 

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