Monsignor Fabbri, testimone chiave della trattativa avviata dal papa Paolo VI per liberare Aldo Moro, con le sue rivelazioni sul caso dello statista democristiano ucciso dalle Brigate Rosse accese un faro prepotente sul riscatto che il Vaticano sarebbe stato pronto a pagare. Un progetto maturato tra i segreti di Castel Gandolfo che, secondo quanto esposto da monsignor Fabio Fabbri in Commissione d’inchiesta sul rapimento del presidente della Democrazia cristiana, sarebbe sfumato con il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani, il 9 maggio 1978. Su quel riscatto mai pagato, nel pieno della tormenta politica che avrebbe demolito l’era del “compromesso storico” sotto le ceneri della linea della fermezza, si sarebbe poi insinuato un giallo: da dove provenivano e dove finirono i soldi che monsignor Fabbri disse di aver visto? Un mistero rimasto tale con la morte dei suoi protagonisti.
Monsignor Fabbri sarebbe stato presente non solo nel frangente in cui il Vaticano si sarebbe determinato a dare un’ingente somma di denaro (10 miliardi di vecchie lire) ai brigatisti in cambio della vita di Moro, ma anche durante la famosa telefonata tra don Cesare Curioni, capo dei cappellani carcerari incaricato dal pontefice di trovare un canale per la trattativa, e lo stesso Paolo VI. Una conversazione in cui don Curioni, di cui monsignor Fabbri era segretario, avrebbe apportato “correzioni” al testo della lettera con cui il papa si rivolse alle Br per liberare Aldo Moro “senza condizioni”. Il racconto di monsignor Fabbri avrebbe restituito alle cronache il ritratto di quelle concitate fasi e di un particolare relativo alle foto dell’autopsia sul corpo dello statista ucciso.
Monsignor Fabbri sul riscatto per Aldo Moro: “Quei soldi li ho visti…”
Intervistato da Michele Santoro sul caso Aldo Moro, monsignor Fabbri – qualche anno prima della sua morte, avvenuta nel 2022 – raccontò alcuni particolari del momento in cui il Vaticano avrebbe attivato la trattativa per la liberazione dello statista democristiano. Nel maggio 1978, pochi giorni prima del ritrovamento del cadavere di Moro, chiuso nel portabagagli di una Renault 4 rossa in via Caetani -, papa Paolo VI avrebbe raccolto una ingente somma di denaro da destinare al riscatto per concludere il sequestro. Soldi che sarebbero dovuti finire nelle mani dei brigatisti perché l’ostaggio fosse risparmiato e rilasciato.
“Quei soldi li ho visti – ha affermato monsignor Fabbri –, posso affermarlo, sono l’unica persona che li ha visti. A Castel Gandolfo, un pomeriggio, sotto una coperta di ciniglia blu c’erano 10 miliardi delle vecchie lire, ma erano in dollari“. Dove siano finiti quei soldi non si sa. Né sarebbe mai emersa la provenienza. Ancora prima, nell’aprile precedente, monsignor Fabbri avrebbe assistito alla telefonata intercorsa tra don Cesare Curioni e il pontefice per limare la famosa lettera di Paolo VI agli “Uomini delle Brigate Rosse”, un appello in cui il papa chiedeva ai terroristi il rilascio di Aldo Moro “senza condizioni”.
Monsignor Fabbri, l’autopsia di Aldo Moro e le parole di don Cesare: “So chi l’ha ucciso”
Le dichiarazioni di monsignor Fabbri toccarono anche un altro punto chiave nella vicenda del sequestro di Aldo Moro. Nel corso della stessa intervista, l’ex segretario e braccio destro di don Cesare Curioni descrisse un particolare momento che si sarebbe verificato dopo l’omicidio del presidente della Dc.
Il cadavere di Moro, crivellato di colpi di arma da fuoco, venne ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4 in via Caetani, a Roma, il 9 maggio 1978. Monsignor Fabbri, davanti alle immagini dell’autopsia, avrebbe raccolto un commento di don Curioni sul delitto: “Portarono le foto a me, non so più se sono 6 o 7, l’ho detto anche alla Commissione. Don Cesare, appena vide il muscolo cardiaco in evidenza, che aveva 6 fori di proiettile intorno al cuore, disse ‘Ma questa è la firma, io so chi l’ha ucciso’. Ed era un ragazzo che lui aveva avuto al Beccaria (il carcere minorile di Milano, ndr) da giovanetto. Un ragazzo che rubava autoradio a quei tempi, forse calabrese…“. Il racconto di monsignor Fabbri sulla presunta “firma del killer” approdò in Commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, portando a galla nuovi elementi agghiaccianti e nuove ombre.