Il messaggero Baiardo rischia l’arresto per una ipotesi di calunnia ai danni di Giletti. Pare sia questa la fine della bolla mediatica innestata dall’anticipatore delle mosse di Messina Denaro le cui ricostruzioni sono ad oggi un’evidente complicazione che invece di aprire scenari nuovi per comprendere la presunta trattativa mafia-Stato ne chiude definitivamente la storia.



La morte di Berlusconi e Messina Denaro, ormai, consegna quei fatti alla storia. Nessuno dei tre, ciascuno per la sua parte, potrà dire altro. E se mai negli anni tragici delle stragi qualcosa accadde, diventa materia ancora più informe. Anche un processo in aula sarebbe tardivo e privo di ogni utilità, se non partendo da dati fattuali certi che oggi appaiono invece confusi. Gli affari veri o presunti che vi hanno girato intorno sono ormai compiuti e di certo non si possono processare i morti.



Perciò la bolla Baiardo, in qualche modo, doveva scoppiare. Giletti fu calunniato, questa l’ipotesi, e Baiardo, secondo il riesame, possederebbe la foto che mostrò a Giletti che non disse il falso. Cosa ne dirà la Cassazione staremo a vedere, vista la natura non definitiva del provvedimento del Tribunale del riesame che contraddice quanto stabilito dal giudice per le indagini preliminari. Ma cosa sa Baiardo di più, con chi abbia voluto comunicare, è un mistero che anche la morte dei presunti protagonisti rende ora ancora più fitto.

La cosa non di poco conto è che, con l’esplosione mediatica avuta, Baiardo intende avviare una carriera politica, così ha dichiarato. Anche questo passaggio non appare altro che un pezzo di percorso scomposto e poco utile all’accertamento della verità. Più che all’accertamento di reati con potenziali condanne, l’attività dei procuratori di Firenze rischia perciò di portare a riletture storiche incomplete.



Cosa fare allora? La storia dei processi su fatti risalenti nel tempo, da Ustica a Moro, ha insegnato che le sentenze sono spesso poi superate da fatti e circostanze nuove che emergono a distanza di decenni riscrivendo gli atti. Lo sapeva bene Andrea Purgatori, che dedicò la vita a ricostruire la verità oltre ogni processo su Ustica e che da sempre praticava il bordo grigio della storia cercando di andare oltre le verità processuali. Pur avendo tutti la certezza che i fatti del 1993-94 sono ancora oscuri, proseguire senza fatti certi rischia solo di creare occasioni per far emergere, al di là della vicenda Baiardo, chi dice di avere un pezzo del mosaico in mano facendo di tutto per usarlo a suo vantaggio. Ancora poco si ricorda dei primi processi Borsellino, inquinati da pentiti imboccati propio per sedare la fame di “verità”. Rischiano di emergere personaggi che dicono solo parte di quello che sanno, fingendo di non sapere altro o non ricordare, e nel frattempo pronti ad accreditarsi come fonte o interlocutore.

Perciò a Firenze è necessario che si prenda una strada. O si mette in piedi un’azione penale tecnicamente ineccepibile, vista la gravità dei fatti, o si accetta che al momento non ci sono elementi per approfondire ulteriormente quel che già è noto. Diversamente le mezze verità, i fatti oscuri, rischiano di dare sempre più visibilità a chi vuole portare avanti il suo personale progetto comunicativo, qualunque esso sia, invece che essere d’aiuto ad accertare i fatti. E questo, francamente, non sarebbe tollerabile per rispetto alla tragedia che quel periodo drammatico rappresenta dalle sue vittime innocenti.

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