Questo articolo si limita a constatare che la storia di questo Paese è stata cambiata da una sentenza sicuramente sbagliata. Non è stato però solo un errore umano, come capita agli arbitri onesti. Ci sarebbe stato (il condizionale è obbligatorio, data l’enorme gravità dell’ipotesi) in Corte di cassazione un deliberato atto sovvertitore della volontà popolare da parte di giudici in malafede, in perfetta continuità di intenti e di azione con ambiti egemoni del Partito democratico.



Scusate se è poco. Il riferimento è alla condanna a 4 anni di reclusione per evasione fiscale inflitta a Silvio Berlusconi e alla conseguente, ma anche questa illegale, sua cacciata del Senato nel secondo semestre del 2013.

A sostenere questa verità incresciosa c’è una coppia di pistole fumanti.

1. La prima e giuridicamente devastante è la sentenza del Tribunale civile di Milano che ha clamorosamente sconfessato sui medesimi fatti la Cassazione. Nel corso di un processo per atti e testimoni ha stabilito l’inesistenza assoluta dell’evasione fiscale da parte di Mediaset in relazione all’acquisto di alcuni film e serie tivù da un intermediario (nessuna evasione tanto più da parte di Berlusconi, il quale non aveva neppure titolo legale per commetterla). Fin qui siamo all’individuazione semplicemente di una negligenza, di una topica marchiana, che suscita una domanda: com’è potuto accadere? Ed ecco la risposta clamorosa.



2. L’errore fu voluto. O – ipotesi minore ma non meno grave – frutto di un pregiudizio politico e morale. Siamo alla seconda pistola, assai più sconvolgente, e concerne la confessione registrata (a sua insaputa) del giudice relatore della condanna penale di Berlusconi, Amedeo Franco: il quale, prima di morire, in un colloquio con B. e altri testimoni disse: “Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà… a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… l’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto… In effetti hanno fatto una porcheria… Voglio per sgravarmi la coscienza, perché mi porto questo peso del… ci continuo a pensare. Non mi libero… Io gli stavo dicendo che la sentenza faceva schifo”.



In un secondo dialogo, di cui pure c’è documento sonoro, il dottor Franco sostenne che “sussiste una malafede del presidente del Collegio (Antonio Esposito, oggi editorialista del Fatto Quotidiano), sicuramente”. E poi diceva ancora: “I pregiudizi per forza che ci stavano… si poteva cercare di evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione, come è capitato, perché di peggio non poteva capitare… Questo mi ha deluso profondamente, questo… perché ho trascorso tutta la mia vita in questo ambiente e mi ha fatto… schifo, le dico la verità, perché non… non… non è questo, perché io allora facevo il concorso universitario, vincevo il concorso e continuavo a fare il professore. Non mi mettevo a fare il magistrato se questo è il modo di fare, per… colpire le persone, gli avversali politici. Non è così. Io ho opinioni diverse della… della giustizia giuridica. Quindi… va a quel paese…”.

Sono passati sette anni. Riprendo il filo della memoria. Stavo lì, tra le carte del processo e le biografie dei giudici negli uffici del Pdl alla Camera. Era tutto così prevedibile e insieme sciagurato quel che sapevamo sarebbe accaduto.

Quel 1° agosto del 2013, nel tardo pomeriggio, la Corte di cassazione comunicò la sentenza di condanna contro Silvio Berlusconi a quattro anni per evasione fiscale. Avevo studiato le carte, si trattava di un’ingiustizia clamorosa. Eppure prevedibile. L’aria di Roma, in Parlamento e nei corridoi giudiziari, non lasciava margine al dubbio: la forca era stata innalzata da settimane. Divenne per me lampante la connessione purulenta tra giudici e politici quando pochi momenti dopo l’annuncio apparve in diretta televisiva Guglielmo Epifani, segretario in quei mesi del Partito democratico. L’ho ancora davanti agli occhi. Era paonazzo, intorno aveva la sua guardia, i suoi giannizzeri, i numeri 2 e 3 dell’apparato ex comunista. Impettito, compiaciuto, con il tono tronfio dell’araldo della Storia che passa a cavallo e lui vi è incredibilmente in groppa. Tocca a lui tradurre in sentenza politica quella giuridica. Dice: “Questa sentenza va eseguita e resa subito applicabile”. Aggiunse: “Seguiremo con attenzione il comportamento del Pdl”.

Annotai quelle parole. Era Breznev che parlava e dettava l’ukase del potere alla Pravda tramite Tg1. Game over, disse Matteo Renzi. La guerra giudiziaria iniziata vent’anni prima trovava la sua conclusione forcaiola. Quindi l’atto pubblico di sfregio, davanti ai colleghi parlamentari e al popolo il gusto meschino di strappare i galloni a Berlusconi espellendolo dalla vita politica per indegnità. Fu cacciato dal Senato applicando retroattivamente la legge Severino, cosa mai vista. Con ciò fu assassinata la sua forza politica. In quel momento i sondaggi davano il Pdl al 28 per cento. Fu dichiarato ineleggibile, subì l’affidamento ai servizi sociali. Non sono riusciti a ucciderlo, ma hanno lesionato la sua capacità propulsiva, alimentando l’ascesa dei 5 Stelle.

Il materiale di cui sopra (la sentenza del Tribunale che riduce in briciole senza possibilità di rincollare i cocci quella della Cassazione; le registrazioni del giudice Franco) è ora a Strasburgo, alla Corte europea dei diritti umani. Probabile, probabilissima la vittoria degli avvocati Franco Coppi e Niccolò Ghedini. E quindi la revisione della sentenza. Politicamente ora i cento deputati di Forza Italia e i 60 senatori circa valgono il doppio, moralmente e per efficacia e credibilità, come un esercito che ha recuperato agli avversari in fuga la propria bandiera.

Di certo ora Berlusconi e i suoi pesano come macigni e valgono oro nel centrodestra e in vista dell’approvazione del Mes.

Quanto alla magistratura… Speriamo non si serva dei suoi portavoce mediatici per buttarla in artifici dialettici e in alibi da peracottari. Essa ha nel suo territorio vaste paludi malariche. Spargere sopra borotalco, com’è noto, provoca il cancro. Non ci provate.