“Il fatto non sussiste”. Si è chiuso così – almeno per il protagonista, lo psicoterapeuta Claudio Foti – il caso nazionale scoppiato nel 2019, nell’ambito di un’inchiesta subito battezzata “Angeli e demoni”: un presunto traffico di minori che vedeva coinvolti una onlus, i servizi sociali e l’amministrazione comunale di Bibbiano, piccolo centro in provincia di Reggio Emilia.
Secondo l’accusa venivano manipolate le testimonianze dei minori da assistenti sociali e psicologi, allo scopo di togliere i minori a famiglie in difficoltà per affidarli ad amici e conoscenti, verosimilmente dietro compenso.
Per settimane giornali e canali televisivi avevano fatto a gara a chi la sparava più grossa, fino a diffondere la notizia che venivano praticate ai bambini scosse elettriche per modificarne i ricordi, fino a ricorrere a sedute di elettroshock. In realtà si trattava dell’uso di uno strumento – il Neurotek – adottato in una delle più accreditate tecniche di cura, che non dà scosse elettriche ma vibrazioni tattili.
Per finire, non poteva mancare, da più parti, l’insinuazione che anche sulla pelle dei soggetti fragili – bambini e adulti – c’è chi si arricchisce, dai professionisti alle cooperative sociali.
Si tratta di una materia che conosco. Meglio: che ho vissuto. Nella mia famiglia sono cresciuti figli naturali, affidatari e adottivi. Per trent’anni ho promosso cooperative e case di accoglienza per bambini e ragazzi abbandonati. Per quelli abusati o fortemente traumatizzati ho organizzato un centro di cura con professionisti di levatura nazionale.
Ebbene: non mi sono mai imbattuto nel caso di bambini grandicelli affidabili che non fossero problematici, tanto o poco. E men che meno ho visto coppie in gara tra loro per accaparrarsi un bambino del genere, a parte rare eccezioni che si dichiarano disponibili all’accoglienza spinte da una forte idealità.
Qualche dato. Nelle strutture di accoglienza vivono in Italia 35mila minori, e ci restano a lungo, tranne poche eccezioni: tutti cercano di adottare un bambino piccolo, meglio se uno dei 400 neonati abbandonati ogni anno alla nascita in ospedale.
Ecco, in proposito, una storia vera tratta dalla mia esperienza.
Luigi è un bambino di quattro anni che vive in una cascina dell’hinterland milanese, abbandonato dalla madre e col padre alcolizzato che spesso non rientra la sera. Luigi va allora a dormire nel fienile fra le scorribande dei topi, dove il freddo è attenuato dal calore animale che filtra dalla stalla sottostante.
Un’assistente sociale cerca da tempo chi lo accolga stabilmente, riuscendo solo a collocarlo per brevi periodi presso famiglie della zona, che si arrendono puntualmente di fronte alle difficoltà del caso.
Per le istituzioni Luigi può essere dato in affidamento familiare: chi lo accoglie sostituisce “temporaneamente” la famiglia d’origine, per dare a quest’ultima il tempo e l’opportunità di ricostituirsi e riabbracciare il bambino.
Un’assistente sociale e una psicologa illustrano questo istituto giuridico a me e mia moglie: dovremo farci carico del bambino e delle conseguenze dei traumi subiti; mantenere vivi i rapporti fra il bambino e ciascun genitore mediante incontri separati; infine, relazionarci periodicamente con loro.
“Per il rientro di Luigi a casa – obiettiamo – il padre dovrebbe almeno disintossicarsi, trovare un lavoro e riunirsi alla madre, che oggi vive con un nuovo compagno. Ci sembra piuttosto improbabile”.
Assistente e psicologa ci rispondono sicure: “È un faticoso ma necessario percorso di recupero della famiglia naturale…”.
“Da affiancare ad un percorso da pellegrini alla grotta di Lourdes?”, ironizzo, visto che il recupero avrebbe del miracoloso.
Seguono vari colloqui e alla fine veniamo “promossi”, anche per mancanza di concorrenti.
Luigi arriva a casa. È spesso violento con nostra figlia, più piccola di lui; collauda un paio di forbici tagliando la fodera del divano; sale sul tavolo e rompe un lampadario. Ogni giorno ha la sua prova e Luigi ci mette davvero alla prova.
Gli incontri con i genitori lo turbano e risvegliano traumi troppo recenti: attraversa periodi di agitazione e di ansia, che fanno soffrire lui e noi.
Tre anni dopo il padre muore di cirrosi e la madre è irreperibile da un pezzo. Finalmente il Tribunale per i minorenni dichiara Luigi adottabile.
Oggi Luigi è sposato con figli – di cui due adottivi – e gestisce una casa di accoglienza per minori. Ha costituito una cooperativa e prende dal comune una retta giornaliera il cui ammontare è bloccato da una dozzina di anni. Sta a galla con l’aiuto di qualche volontario, un affitto modesto ottenuto dalla parrocchia per l’immobile che occupa, la solidarietà – anche economica – di famiglie che condividono lo stesso ideale.
Com’è lontana Bibbiano…
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