Come al solito, grazie anche a un racconto giornalistico irresponsabile, il caso Bibbiano si sta tramutando in un grossolano processo all’affido familiare. Da vecchio genitore affidatario ne sono indignato: il cupio dissolvi della nostra società e del nostro discorso pubblico sembra non avere più limiti. Vedrete: probabilmente il caso Bibbiano si sgonfierà, ma il discredito sulla bella esperienza dell’affido familiare, palestra educativa di carità e di gratuità per tutti, resterà.



I fondamentali. L’affido familiare è un provvedimento temporaneo: famiglie o single che aiutano, supportate dai servizi sociali e con un modestissimo apporto economico (noi ricevevamo mensilmente 350 euro dal Comune di Milano, altro che “business degli affidi”!) altre famiglie in un momento difficile della loro storia. La scelta è fatta da un magistrato, su indicazioni dei servizi sociali, di fronte a situazioni complicate risolte le quali il minore tornerà in famiglia. Ne avranno guadagnato i minori, separati sì dai loro cari ma in una fase molto difficile, e anche le famiglie affidatarie, allenate da un’esperienza che insegna a non far progetti sui propri ospiti a tempo ma alla fine ossigenante e liberante per tutti. Educazione permanente, insomma.



Da giorni sentiamo sul caso, anche ai più alti livelli, un cumulo di inesattezze ed equivoci conditi da forti dosi di brutali strumentalizzazioni politiche. Purtroppo, partendo da un’inchiesta giudiziaria che per la sua delicatezza avrebbe dovuto essere più protetta di altre, la benzina l’hanno fornita alcune testate giornalistiche sulla carta schierate “dalla parte della famiglia”, martellando giorno dopo giorno e inventandosi altri modi di per proseguire a picchiare anche dopo che alcuni fatti sono stati ridimensionati. E la grossolana analisi sui costi del fenomeno, rimbalzata dappertutto e bevuta al volo dagli inesperti in materia, ha trasformato noi genitori affidatari in assetati cacciatori di soldi e di figli altrui e gli addetti ai lavori, specialisti e servizi, in sadici ladri di bambini.



Però manca il movente. Perché noi genitori affidatari ci dovremmo sobbarcare un impegno educativo che arriva come un urto destabilizzante (salutare, si capirà poi) per noi e per i nostri figli? Per quei quattro soldi del comune? E gli assistenti sociali, con tutti i loro difetti, davvero sono dei sadici che godono a “strappare” decine di bambini ai loro genitori naturali magari per darli a una coppia gay?

Tutto denunciato in nome della famiglia, la santa famiglia sotto attacco. Non so voi, ma io vivo in un mondo plurale, dove accanto alla mia famiglia “normale” esistono unioni civili, omosessuali e non, e un intero mondo Lgbt fatto di uomini e donne alcuni dei quali con un profondo, serio desiderio di paternità e maternità. Siamo sicuri che negare loro a priori l’esperienza dell’affido sia una scelta giusta? Saranno le istituzioni pubbliche a vagliare e valutarne l’affidabilità, esattamente come è accaduto alla mia famiglia. Io però mi interrogo, non chiudo loro la porta, accetto la sfida del loro desiderio genitoriale, rispondendo con la verità della mia esperienza e non brandendo un’idea di famiglia che può divenire essa stessa ideologia. La vedo come una grande possibilità di incontro e di confronto, entusiasmante persino.

Il caso Bibbiano avrà il suo corso giudiziario, ma la favola nera del grande complotto di amministrazioni, servizi sociali “deviati” e specialisti che in nome di oscuri interessi usano l’affido come “macchinazione” contro i poveri genitori naturali è un racconto sballato di cui pagheremo le conseguenze.

E ho un ulteriore sospetto: prima le Ong e il mondo dell’accoglienza ai migranti; adesso le famiglie affidatarie e i servizi sociali: non è che siamo di fronte a un’offensiva senza precedenti contro i corpi intermedi che fanno sussidiarietà? Nella furia della solita, infausta delegittimazione politica dell’avversario, non è che si sta demolendo la credibilità di interi pezzi di società? Oggi forse è venuto il momento di difenderli pubblicamente. Come diceva Giorgio Gaber ne “Il dilemma”: “Non per una cosa astratta come la famiglia… ma per una cosa vera, come la famiglia”.