Caro direttore,
prendiamo spunto dal dibattito che si è aperto sulle pagine del Sussidiario per esprimere alcune osservazioni sulla vicenda di Bibbiano che ci interessano in qualità di genitori, sposi e pure amministratori locali. Non c’è dubbio che sia in corso una strumentalizzazione da parte di alcune forze politiche e, addirittura, di pezzi di istituzioni contro altre. Non nascondiamo che nella semplificazione mediatica possa finire nel tritacarne una realtà positiva come l’affido e l’esperienza di gratuità di tante famiglie che si aprono all’accoglienza di chi soffre e che le pubbliche amministrazioni non valorizzano e incentivano come dovrebbero. Conosciamo anche noi tanti casi di straordinaria carità che commuove tutti quelli che la intercettano. Conosciamo anche la grande professionalità degli assistenti sociali dei nostri territori, che hanno una profonda consapevolezza alla base del loro delicatissimo lavoro: la famiglia di origine, con tutti i suoi limiti (economici, sociali, comportamentali…), ha un valore oggettivo che nemmeno l’estrema ratio dell’allontanamento dei figli può e deve superare. Un bambino ha un legame naturale e innegabile con chi lo ha messo al mondo di cui non si può non tener conto persino nell’affidamento e collocamento presso terzi. 



Tuttavia, proprio a difesa di queste esperienze di cui sono costellate tante comunità locali in cui viviamo ed operiamo, non possiamo non scorgere delle distanze incolmabili con quanto emerso dalle vicende di Bibbiano e che non si possono tacere. Al di là delle vicissitudini giudiziarie, sulle quali non possiamo e non vogliamo addentrarci – tenuto conto che in questa sventurata nazione le roboanti inchieste annunciate a suon di prime pagine e aperture di tg spesso si sono sgonfiate nel tempo, lasciando solo il fango gettato sugli indagati – c’è un tema politico che viene prima.



Basterebbe leggere un articolo apparso su La Stampa già il 31 luglio 2016 per comprendere che, in un’Italia con il più basso tasso di affidi eterofamiliari a livello comunitario, l’esperimento degli otto comuni della Val d’Enza è un’anomalia più che un esempio: su una popolazione locale che conta 12mila minorenni, si vantavano 1.900 in carico ai servizi. Stiamo parlando di quasi il 16%. Il che vuol dire o che tutti i “mostri” si concentravano nelle mura domestiche di quel fazzoletto di terra o che c’era una visione complessiva ideologica a monte. Proseguendo nella lettura di quell’articolo alcuni elementi sembrerebbero andare nella seconda direzione. “In questo Paese è ancora troppo forte l’idea della famiglia patriarcale padrona dei figli” dichiarava Federica Anghinolfi, responsabile dei servizi sociali del consorzio dei comuni emiliani.



Su Youtube è anche visibile un’intervista alla stessa Anghinolfi in materia di affido a coppie dello stesso sesso. In essa la funzionaria dichiara espressamente che “l’idea di concentrarsi sullo stigma dell’omofobia è velenoso di per sé. Quindi, per quanto ci riguarda, per quel che sono le famiglie oggi e i genitori oggi, capita molto spesso che ci sono genitori di figli che non sono propri, perché semmai sono del secondo o terzo matrimonio. Può capitare che ci sono coppie omosessuali che si sono formate nel tempo, che hanno già figli e si sono messe in coppia. Sappiamo che ci sono studi approfonditi […] che vanno oltre al tema dell’identità di genere nella relazione genitoriale, dove si è visto che se le persone sono responsabili e si amano, hanno dei rapporti d’amore con i loro partner e con i loro figli, questo è quello che conta”.

Della scientificità di queste affermazioni non solo dubitiamo fortemente, ma contestiamo l’ideologia che ha guidato almeno politicamente i responsabili dei servizi dei comuni della Val d’Enza. Contestiamo cioè la volontà tradotta in atti amministrativi di screditare quell’evidenza originaria per cui nessuno si autogenera. Per generare (e per educare) alla vita non bastano i buoni sentimenti. Occorre innanzitutto una differenza: questo è vero persino nel caso di fecondazione artificiale, dove si necessita di gameti maschili e femminili. Che la differenza sessuale, la differenza di ruolo e di vocazione tra un padre e una madre, dentro un rapporto stabile nel tempo, pure al lordo di eccezioni sempre possibili, siano elementi superflui per la generazione di un adulto – se non addirittura dannosi, come adombrerebbero le posizioni succitate – è un qualcosa di discutibile alla luce dell’esperienza umana elementare di chiunque. 

Temiamo che per la smania di prendere le distanze dai modi sguaiati e molto spesso inopportuni delle forze al governo del Paese, si cada facilmente nel gioco dell’alternativa unica e si alimenti quella polarizzazione mediatica che stritola innanzitutto i più deboli. In questo caso i bambini che a torto o a ragione (questo sì, lo stabilirà la magistratura!) sono stati sottratti alle loro famiglie.

Filippo Boscagli, consigliere comunale a Lecco
Matteo Forte, consigliere comunale a Milano
Deborah Giovanati, assessore al Municipio 9 di Milano
Marco Lezzi, segretario associazione Nuova Generazione
Lorenzo Margiotta, presidente associazione Nuova Generazione