Il prezzo dei Bitcoin ieri pomeriggio è arrivato a perdere il 30% prima di rimbalzare parzialmente in serata. A scatenare le vendite è stata la decisione del Governo cinese di vietare a istituti finanziari e società di pagamento di offrire servizi per le transazioni in criptovalute oltre a mettere in guarda gli investitori dal trading speculativo in valute cripto. La decisione ha l’effetto immediato di far sparire potenziali acquirenti e può essere interpretata come l’inizio di un’ostilità regolamentare diffusa dopo avvertimenti di diversi banchieri centrali.
Le quotazioni dei Bitcoin dall’autunno del 2020 hanno messo a segno rialzi spettacolari e in meno di sei mesi i prezzi hanno fatto per sei prima della discesa. La salita dei Bitcoin è arrivata insieme al rialzo dei prezzi di molte materie prime su cui si è riversata la massa di liquidità che il sistema ha creato per controbilanciare gli effetti della crisi e che ha coinvolto anche azioni e obbligazioni. In un certo senso la bolla dei Bitcoin è la versione popolare e alla portata di tutti di un fenomeno finanziario che dura da molti trimestri; non occorrono moduli da compilare, non ci sono commissioni, non bisogna essere esperti di questo o quel settore e non serve nemmeno possedere particolari competenze tecniche. Sui listini si vedono bolle che sono equiparabili anche se rivestite di una patina di professionalità. I soldi investiti in Bitcoin escono dal sistema e dai conti correnti.
La decisione della Cina arriva nelle stesse settimane in cui si moltiplicano i commenti sui progressi del Paese asiatico sulla valuta digitale. I Bitcoin esistono nella misura in cui possono essere usati per fare pagamenti, ma se la platea di beni che si possono comprare con i Bitcoin si riduce anche la loro utilità ne risente. È lo stesso identico problema che si pone sui contanti. Se i cittadini di un dato Paese non possono più usarli per fare la spesa o ristrutturare casa perché ci sono limiti al loro utilizzo improvvisamente l’utilità del contante diminuisce e con essa la propensione a tenerne una certa somma a portata di mano.
In una fase in cui Governi e Banche centrali sperimentano strumenti di politica monetaria e fiscale mai usati, le criptovalute diventano scomode. Sono scomode sia se dovessero arrivare i tassi negativi, sia per i sussidi monetari che i Governi hanno deciso di mettere in via permanente nelle tasche dei cittadini. Nel primo caso gli effetti dei tassi negativi potrebbero essere neutralizzati dal rifugio nelle criptovalute certamente più efficienti del contante. Nel secondo caso, il Governo perderebbe la capacità di incanalare quei soldi in una direzione piuttosto che in un’altra. Le valute digitali permettono di tracciare qualsiasi transazione e danno un potere di indirizzo a chi le emette semi assoluto.
Sulle criptovalute da mesi aleggiano avvertimenti che vanno tutti nella direzione presa dal Governo cinese. Il fenomeno Bitcoin è un prodotto degli stessi fattori che operano sui mercati e che hanno portato a quotazioni elevate in molti settori. Hanno il vantaggio di essere estremamente liquidi e di poter essere usati come una moneta alternativa. Questo accade solo nella misura in cui sono accettati per fare pagamenti “veri”. I Bitcoin o rientrano nel sistema oppure ne verranno buttati fuori perché, tra le altre cose, fanno concorrenza alle valute digitali. In questo scenario non c’è davvero spazio per alcuna battaglia “romantica” come si è visto benissimo ieri.
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