Il gip di Milano, Sara Cipolla, ha trasmesso alla Corte costituzionale gli atti necessari a valutare la legittimità costituzionale del reato di aiuto al suicidio per cui è indagato Marco Cappato. Non è la prima volta che questo accade. La vita giudiziaria di Marco Cappato è strettamente intrecciata a quella di DJ Fabo. Cappato venne assolto, e la Corte costituzionale elaborò una sentenza che a determinate condizioni di fatto legittima il suicidio assistito.  Anche questa volta Cappato, attivista e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, ha accompagnato due persone a morire in una clinica in Svizzera. Dopo di che, certo di essere assolto, come era accaduto in precedenza, e con un’evidente volontà di mantenere accesi i riflettori sul tema eutanasia, si era autodenunciato.



Ora la Consulta dovrà valutare la legittimità costituzionale del reato di aiuto al suicidio commesso da Cappato accompagnando in Svizzera il signor Romano, 82 anni, costretto a letto da una grave forma di Parkinson, e la signora Elena Altamira, 69 anni, malata terminale di cancro. In prima battuta la Procura di Milano, su richiesta della procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano e del pubblico ministero Luca Gaglio, aveva chiesto l’archiviazione. Ma il gip ha deciso di portare il caso dinanzi ai giudici costituzionali, perché in entrambi i casi mancava una delle cinque condizioni fondamentali prevista dalla sentenza della Corte costituzionale. Concretamente quella in cui si dice esplicitamente che resta la punibilità di chi agevola l’aiuto al suicidio in soggetti che non sono tenuti in vita da trattamenti “di sostegno vitale”.



Le altre quattro condizioni sono: la persona deve essere affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili; deve aver manifestato la propria decisione di porre fine alla propria vita in modo libero e consapevole. E deve aver intrapreso un percorso di cure palliative per migliorare la sua qualità di vita complessiva. La controversia si fonda sull’interpretazione del concetto di “trattamento di sostegno vitale” (TSV), legato al suicidio assistito di Dj Fabo, accompagnato in Svizzera da Cappato. Questa quinta condizione è parte integrante del “pacchetto” previsto dalla Corte costituzionale, che sottolinea come le cinque condizioni debbano darsi contestualmente e contemporaneamente. Nella loro richiesta di archiviazione Siciliano e Gaglio avevano spiegato che l’essere collegati alle macchine certamente rallenterebbe la malattia e di conseguenza la morte, senza “poterla impedire”, per cui diventavano delle vere e proprie forme di accanimento terapeutico, futili e non dignitose, che avrebbero potuto causare di ulteriori sofferenze per il paziente e per coloro che lo accudiscono”.



In altri termini la procuratrice aggiunta Siciliano e il pm Gaglio avevano chiesto l’archiviazione del caso Cappato sulla base di un’interpretazione della sentenza 242/2109 della Corte Cost. che esclude uno dei 5 elementi essenziali per l’impunibilità di Cappato stesso, i famosi TSV. La gip Cipolla avrebbe fatto sua questa interpretazione della sentenza, facendo un ulteriore passo in avanti e arrivando a differenziare tra i pazienti coloro che per “rimanere in vita necessitano di trattamenti di sostegno vitale” e altri “che necessitano solo di trattamenti terapeutici e per i quali i mezzi di sostegno vitale” sono “soltanto prossimi” e dipendono dal tipo di patologia.

In altri termini si chiede alla Corte costituzionale di specificare meglio cosa si debba intendere tra TSV e mezzi di sostegno che sono legati alla tipologia della patologia e per questo sono prossimi alle esigenze del paziente, ma non sono veri e propri TSV. Non c’è dubbio che Marco Cappato abbia fatto del diritto alla morte “quando, come e dove voglio” una vera e propria battaglia esistenziale dall’ampia ricaduta politica. Nonostante i ripetuti no, le reiterate bocciature delle leggi regionali in merito, lo stallo assoluto della legge nazionale sull’eutanasia, lui continua ad organizzare e promuovere i viaggi della morte in Svizzera, come se questo fosse il diritto dei diritti e la più alta aspirazione di un malato. In tutte le sue prese di posizione c’è un sapore di morte che sembra diventato una vera e propria ossessione. Ma accanto a lui si muove anche una magistratura compiacente, che lo asseconda con l’unico obiettivo di allargare sempre più il perimetro del suicidio assistito: il malato terminale può decidere di morire anche se non è attaccato a macchine che lo tengono in vita, perché da parte di molti magistrati tutto può essere considerato “accanimento terapeutico”. E quindi non punibile.

Ora la gip Cipolla rimanda alla Corte costituzionale il compito di precisare cosa si debba intendere per TSV e solleva il dubbio della punibilità in chi agevola il suicidio medicalmente assistito in persone che non siano tenute in vita con trattamenti di sostegno vitale. Anche il gip di Firenze aveva sollevato lo stesso problema, chiedendo di chiarire meglio cosa significhi essere tenuto in vita artificialmente con trattamenti di sostegno vitale. Proprio la condizione che mancava nei casi di Romano ed Elena, su cui hanno indagato i pm milanesi con acquisizioni di filmati, documenti, testimonianze e consulenze mediche, tentando di archiviare la questione e assolvendo in anticipo Cappato. C’è un’ansia di morte che caratterizza tutto il mondo che ruota intorno al fine vita e che rende necessario essere sommamente prudenti per ogni malato.

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