C’è sempre qualche spettacolo cupo e inquietante che anticipa il Festival di Sanremo. Sarà un destino crudele. Vi è da dire che in questo periodo le sceneggiate nazionalpopolari anticipano la grande festa nazionalpopolare per eccellenza, che pure provoca in una minoranza (sia ben chiaro per carità!) dolori acutissimi e pensieri nefasti.



Gianni Boncompagni, ad esempio, grande uomo di una “televisione” molto diversa da quella attuale, raccomandava di mandare migliaia di carabinieri quando si apriva il Festival della canzone, per arrestare cantanti, musicisti, pubblico e metterli in un carcere per qualche tempo con il regime del 41 bis. Qualcuno può inorridire, ma può subito calmarsi e magari anche sorridere, perché Boncompagni usava un’ironia paradossale e intelligente per manifestare apertamente i suoi gusti e finiva per parlare anche del 41 bis, in modo appunto paradossale.



Regime 41 bis che, per inciso, è pena diversa dall’ergastolo ostativo, come invece tanti importanti politici attuali e tanti analisti acclamati confondono.

Siamo partiti da vecchie ironie di altri tempi. Ma per interpretare una vicenda di questi giorni, che terrà banco per molto tempo, nell’ormai incredibile e ineguagliabile, per ipocrisia e incompetenza, politica italiana, non c’è assolutamente la possibilità di usare alcuna ironia.

Questa volta ci troviamo di fronte non a un’anticipazione sanremese e nemmeno a una delle tante sceneggiate parlamentari della “repubblica senza numero”, ma a un drammatico show ipocrita e inquietante, che fa pensare a quali scontri si preparano maggioranza e opposizione sulle riforme da fare. Adesso riguarda la giustizia, ma presto si ripeterà in tante altre realtà da affrontare.



Che cosa è successo? Nell’ultimo giorno di gennaio un luogotenente del premier Giorgia Meloni, Giovanni Donzelli, si produce in un attacco violento contro il Partito democratico a proposito del caso dell’anarchico Alfredo Cospito, che è in carcere al regime del 41 bis, e per questa ragione, da più di cento giorni, fa lo sciopero della fame.

Donzelli è arrivato a chiedere in modo chiassoso e un po’ sgangherato se il Pd è d’accordo con Cospito sul 41 bis e le sue frasi sono state durissime: “Cospito ha incontrato mafiosi e il 12 gennaio 2023, mentre parlava con i mafiosi, ha incontrato anche i deputati Serracchiani, Verini, Lai e Orlando che andavano a incoraggiarlo nella battaglia. Allora voglio sapere se questa sinistra sta dalla parte dello Stato o dei terroristi con la mafia”.

Donzelli non usa toni da Camera dei Lord, ma aggiunge, oltre alla visita, altri aspetti dell’incontro nel carcere di Sassari (ora Cospito è nel carcere di Opera) dei deputati del Pd in visita che ha appreso da un suo collega di partito, Andrea Delmastro Delle Vedove, che è sottosegretario alla Giustizia, cioè un sottosegretario del guardasigilli Carlo Nordio.

In aula succede ovviamente il finimondo, un’autentica bagarre, con Debora Serracchiani fuori dalla Grazia di Dio e gli altri suoi colleghi che chiedono formalmente le scuse e le dimissioni per Delmastro dal suo incarico, e di Donzelli da quello di vicepresidente del Copasir.

Pensare che questa bagarre infernale non abbia uno scopo elettorale a noi sembra ingenuo. Tra meno di dieci giorni si va alle urne in due tra le più importanti Regioni italiane, Lombardia e Lazio, e la “caccia al voto” supera, in questo periodo e con questa classe dirigente, ogni valutazione razionale e ogni visione politica a lungo termine.

Due cose soprattutto stupiscono. La prima è che la sceneggiata selvaggia sia avvenuta senza che Giorgia Meloni (che ha proprio superato i cento giorni di governo in questo periodo) ne sapesse nulla. È più che lecito chiedersi: ma è proprio così?

La seconda è che il Pd, alla sempre più disperata caccia di voti e di un’immagine di sinistra con una continua perdita di iscritti, volesse farsi alfiere di una maggiore “umanità carceraria” verso Cospito e di una revisione o di un ripensamento sul regime del 41 bis, magari recuperando un poco del cosiddetto “garantismo” alla faccia di Nordio.

È un’ipotesi ovviamente, ma quanto è apparso strano il titolone in prima pagina del Fatto Quotidiano del 2 febbraio. Occhiello: “Al 41 bis. Verini: A Sassari ci indicò le loro celle e noi li salutammo”. Titolo: “Cospito ai deputati Pd: Dovete parlare coi boss”. Si direbbe strano a prima vista, oppure più verosimilmente, quello che viene ritenuta la gazzetta di Giuseppe Conte e dei pm vuole solo indicare che a sinistra ci stanno soprattutto i pentastellati, che prenderanno presto il posto di un Pd in grande affanno e diviso al suo interno alla vigilia di un congresso rebus. Più o meno le stese cose le aveva già dette il direttore del Fatto Quotidiano alla trasmissione dell’intramontabile Lilli Gruber.

Noi ci augureremmo di sbagliarci, ma l’impressione è che ormai nella “repubblica senza numero” la visione politica complessiva sia andata a farsi benedire e si giochi in modo spregiudicato solo per ottenere consenso e un potere istituzionale che non riesce più a risolvere i problemi del Paese. Ieri ci sono state altre manifestazioni di protesta in tante città.

Mentre si pensa alle scuse ai giurì d’onore, ai ricorsi alla magistratura e ai tribunali, alle dichiarazioni di Nordio sulla distinzione tra segretezza e riservatezza e al fatto che quanto detto da Donzelli era possibile dire, c’è la sensazione che l’intera classe dirigente politica di questo Paese sia stata catturata da un cinismo pericoloso e giochi soprattutto a ripetere la strada della vecchia ipocrisia italiana.

Ma è possibile vedere questi “giochetti” in un Paese dove il codice penale ha ancora l’impianto redatto da Alfredo Rocco, ministro fascista, approvato con il regio decreto del 19 ottobre 1930? Ci sono stati mutamenti, cambiamenti, ma lo spirito costituzionale è completamente rispettato?

L’articolo 27 della Costituzione prevede che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Come si fa a considerare compatibile questo principio con l’ergastolo ostativo, il 41 bis, e probabilmente lo stesso ergastolo su cui si fece un referendum nel 1981?

È vero che ci sono deroghe ai principi fondamentali in determinati momenti storici. Ad esempio il 41 bis fu prima delineato nel 1986, poi decretato nel 1992 per lo stragismo mafioso, non più rivisto e diventato definitivo nel 2002. Di fronte a una simile realtà che è doveroso riformare, di fronte a tanti problemi, si possono fare soprattutto giochetti politici?

Giorgia Meloni può ignorare tutto, anche quello che è avvenuto, e l’ex ministro della Giustizia del Pd, Andrea Orlando, può parlare con i boss e magari interrogarsi, adesso e non quando era ministro, sul 41 bis?

Siamo spiacenti di riaffermare che questo Paese appare sempre di più come il luogo del trionfo dell’ipocrisia politica, storica e sociale.

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