È una situazione kafkiana, che ricorda un po’ la vicenda di cui furono vittime i due marò in India, quella in cui si ritrova da oltre un anno e mezzo l’imprenditore italiano Andrea Costantino, impossibilitato a lasciare gli Emirati Arabi Uniti dopo aver trascorso diverso tempo in carcere. Entrambi i casi sono imputabili a una cattiva gestione della politica estera e diplomatica del nostro Paese, incapacità che genera autentici “mostri”.
Arrestato il 21 marzo 2021 con l’accusa di aver fatto pervenire aiuti a quelli che per gli Eau sono considerati terroristi, la fazione Houthi nello Yemen, Costantino viene rinchiuso in carcere per mesi, senza contatti con i familiari o con le nostre autorità diplomatiche. Le condizioni, come è facile immaginare, sono terribili: “Non ho potuto comunicare con la mia famiglia per 68 giorni, hanno autorizzato una prima visita dopo 30 giorni, non dell’ambasciatore italiano, ma di un segretario qualunque, cosa che non succede mai” ci ha raccontato in questa intervista.
“La cella dove mi hanno rinchiuso misurava 15 metri quadri. Doveva tenere 4 persone, ma eravamo in 14, senza finestre e senza bagno. Mangiavo per terra, mettevano il cibo tra lo sterco dei topi. I bisogni li facevamo nei sacchetti. Le docce erano un corridoio lungo 34 metri per un metro e mezzo di larghezza, eravamo in 127. Di fatto erano delle latrine in cui dovevamo stare ammassati con un buco dall’alto da cui scendeva l’acqua. Altre cose non posso raccontarle, ma porto ancora le cicatrici fisiche e mentali”.
È solo dopo la visita negli Emirati del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che la situazione per Costantino cambia (“A lui farei costruire un’icona vicino a quella di Santa Rosalia a Palermo”, confida): viene trasferito in una dependance dell’ambasciata italiana. Ma non può comunque lasciare il Paese, dove si trova tuttora per ragioni puramente politiche, che hanno a che fare con le decisioni prese dall’allora ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.
Lei è stato arrestato il 21 marzo 2021, alcuni mesi dopo che l’allora governo Conte decise di dichiarare un embargo della vendita di armi agli Emirati, nonostante questi si fossero già da due anni tirati fuori dalla guerra nello Yemen. Quella decisione aprì una gravissima crisi politica fra i due Paesi: tutti ricordano il divieto di fare scalo negli Emirati all’aereo dei giornalisti italiani che si dovevano recare in Afghanistan e la chiusura della base militare italiana. Anche lei è una pedina di questa crisi?
È l’unica spiegazione che posso darmi ed è anche stata confermata un giorno fa da un messaggio dell’ambasciata degli Eau, in cui si dice che il mio rilascio per loro non è una questione di denaro, ma una questione politica di principio.
Perché a lei per lasciare il Paese è stata comminata una sanzione di 550mila euro, giusto?
Sì, con il problema che mi hanno vietato di poter ricevere soldi dall’estero, quindi mi hanno bloccato qui.
Torniamo alla crisi diplomatica. Lei ritiene di essere stato usato come ostaggio in una sorta di vendetta politica e diplomatica?
Il mio arresto è legato alle pessime, direi ormai compromesse, relazioni diplomatiche fra Italia ed Emirati. L’allora ministro Luigi Di Maio ha rotto, a inizio 2021, un contratto, che esisteva dal 2016, relativo alla vendita di armi agli Eau, provocando così la loro reazione. Non è un caso infrequente nei Paesi del Golfo o in Russia arrestare delle persone per usarle nelle trattative per scambi politici, con accuse che sono del tutto inesistenti.
Secondo lei, Di Maio avrà vietato la vendita di armi per far contenti i suoi elettori di area pacifista o per scarsa visione politica?
Francamente la domanda che gli farei è: cosa ti ho fatto? Perché ti accanisci così contro di me? Di Maio, sulla stampa che ho potuto tornare a leggere una volta uscito dalla cella, viene descritto come un andreottiano, il che farebbe rivoltare nella tomba Andreotti. Ma è vero che è un perfetto doroteo di matrice democristiana, ha piazzato suoi uomini dappertutto. Che interessi personali abbia non lo so, farà anche la parte del buono che non vende più le armi, ma apparire pacifista e poi fare dichiarazioni come quelle pro Iran, di cui nessuno ha parlato, non è una bella cosa.
Quali dichiarazioni?
Sono apparse sul sito del ministero degli Interni iraniano e solo adesso l’Unione Europea ne sta venendo a sapere con grande imbarazzo dopo che ne ho parlato io. Di Maio ha dichiarato il suo sostegno all’Iran nel programma nucleare e sostegno al regime nella repressione dei “terroristi” che manifestano per le strade. Sono cose che solo gli ayatollah dicono, accusando gli Stati Uniti di creare caos, manipolando la popolazione.
Torniamo al suo arresto: lei viene accusato di aver aiutato i ribelli Houthi. Cosa è successo davvero?
Io avevo inviato un carico umanitario di gasolio, con la precisa autorizzazione delle autorità marittime militari degli Emirati, perché in Yemen c’è il blocco dei porti e senza autorizzazione nessuna nave può entrare. Il mio carico era diretto alla compagnia petrolifera statale yemenita, controllata da Arabia Saudita ed Emirati.
Quindi tutto regolare, eppure è stato accusato di averle inviate ai ribelli. Con che prove?
Nessuna. Si sono basati sui sentito dire raccolti dall’accusa. Solo dopo 60 giorni di detenzione l’ambasciatore italiano è venuto a visitarmi, dicendo che nel mio caso la politica non c’entrava nulla e che non potevano fare niente. Mi ha tolto ogni speranza. Dopo una settimana, mi hanno concesso di fare la prima telefonata alla mia compagna. L’ufficiale mi dice: mi raccomando, ricordati di dire quello che ti abbiamo detto.
Che cosa?
Che non era una questione che riguardava me, ma problemi di relazioni tra gli Emirati e l’Italia.
Il contrario di quello che le aveva detto l’ambasciatore.
Infatti. Al processo vengo accusato in base all’articolo 228 del codice penale degli Emirati, in cui si citano “supremi interessi nazionali”. Dopo di che viene stabilita una sanzione da pagare e vengono emessi due mandati di arresto nei miei confronti. Nel frattempo, grazie al presidente della Repubblica, sono stato trasferito nell’ambasciata italiana, ma poco dopo la vittoria elettorale di Giorgia Meloni viene emesso un terzo mandato di cattura.
Perché?
Succede una cosa stranissima. Quando la Meloni vince le elezioni, ancor prima che diventi capo del governo, il presidente degli Emirati scrive un tweet per congratularsi, una cosa mai successa. Non ci si congratula con un leader di un partito. Ricordo che Giorgia Meloni tempo fa si era spesa a mio favore, registrando un video in cui si parlava del mio caso.
Dall’Italia arriva qualche messaggio?
No, ma l’ambasciatore viene richiamato e sostituito, una cosa gravissima, che si fa solo in casi particolarmente gravi. Gli Emirati dicono che le relazioni sono cambiate in meglio. L’avvocato mi dice che il capo della procura ha stabilito che posso pagare il 50% della sanzione e venire rilasciato. Chiedo se me lo mettono per scritto e rispondono di no. Anzi, dicono che, se non pago entro due giorni, emettono un terzo mandato di arresto.
Il nuovo ministro degli Esteri, Antonio Tajani, si è fatto sentire?
Assolutamente no. So che ha telefonato per altri casi, ma non ha sollevato il mio. Con me o la mia compagna non si è mai fatto sentire, anzi lei gli ha chiesto un appuntamento e lui ha fatto dire che non aveva tempo. Vengo poi a sapere che Tajani, fa finalmente ha fatto una telefonata dicendo di aver sollevato il caso.
Intanto Luigi Di Maio viene indicato, la nomina è ancora da ratificare, come inviato speciale Ue nei Paesi del Golfo Persico, proposta che non fa piacere agli Emirati, vero?
Li fa infuriare. Il National News, il principe quotidiano del Paese ovviamente controllato dal governo, ha scritto un commento molto acido, in cui dicono che non sanno che senso dell’umorismo abbiano gli europei, perché Di Maio da solo è riuscito a distruggere le relazioni con l’Arabia Saudita e il nostro Paese. Sia Salvini che Tajani confermano che la proposta non è arrivata da loro. Mi domando: ma da chi, allora?
Che idea si è fatto?
È probabile che ci sia una parte del governo che lo sostiene, qualcuno che non lavora per gli interessi degli italiani. Come ho detto prima, gli Emirati hanno inviato un messaggio preciso all’Italia: il mio caso è una questione politica di principio. Come mai un messaggio così chiaro non viene recepito dal governo? Chi blocca tutto?
Forse perché il suo caso metterebbe a rischio la nomina di Di Maio?
E perché devo pagarne io le conseguenze? Devo forse combattere anche contro lo Stato italiano? La democrazia non è solo l’esercizio del voto, è anche l’esercizio della giustizia e della verità.
(Paolo Vites)
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