La segretezza non è per tutti. Non solo perché non tutto può essere rivelato, ma soprattutto perché per molti il segreto è insopportabile. C’è poi chi non si accorge di possedere un segreto e lo rivela, renderlo fatto noto. Con tutta una sequela di congruenze che ben si comprendono. Nella nostra Repubblica i segreti non sono mai stati tali fino in fondo. Anzi, più precisamente, i segreti della nostra cara nazione sono spesso nelle mani di chi quel segreto non dovrebbe averlo. Così Andrea Delmastro (FdI) si ritrova a dover spiegare in un’aula di giustizia se sapeva o meno che possedeva un segreto e se quello che sapeva, in fondo, fosse davvero un segreto.



Processo perciò alquanto filosofico più che giuridicamente complesso. E che porterà per forza di cose ad indagare i meandri della sua valutazione. Temi oggettivamente complessi che la Procura aveva valutato difficilmente provabili. Ora che un giudice dovrà esprimersi, la cosa diviene più interessante.

Forse anche per Delmastro. Dal suo punto di vista ha solo portato alla luce le condotte di alcuni esponenti dell’opposizione che avrebbero interloquito con un detenuto al 41bis mostrandogli un supporto ampiamente, a suo giudizio, inopportuno. Per lui, in fin dei conti, è quasi un merito aver “detto a tutti” del dialogo tra alcuni parlamentari e Cospito. Anzi, il fatto che la cosa sia divenuta pubblica nell’aula di Montecitorio, dove tutto quello che si dice è coperto da un sorta di impunibilità e sacralità, rende il gesto rivelatorio addirittura alto, dal punto di vista di chi lo difende.



Del resto Craxi ammise in quell’aula di aver sostenuto illegalmente il suo partito e accusò gli altri di aver fatto la stessa cosa. Senza conseguenze per quelle dichiarazioni.

Insomma, la richiesta di imputazione coatta rischia di far riemergere un fatto sopito e di rimettere al centro la vicenda che in sé ha molti lati oscuri. Perciò non è indifferente prevedere come finirà.

Un’assoluzione è probabile perché il fatto non sussiste, visti i dubbi della Procura. Ma a questo punto sarà lecito chiedersi se non sia il caso di definire una volta per tutta cosa sia segreto per davvero. A cominciare dalle carte dei Pm, che spesso finiscono sui giornali, passando poi per le informative dei servizi che girano anonime e di mano in mano.



Il fatto, insomma, va oltre la vicenda e testimonia ancora di più quanto ci sia di autodistruttivo nel sistema che si fa la guerra per farsi la guerra. Il fatto è che la politica nicchia nel definire con chiarezza i suoi limiti, evitando di darsi delle regole precise, anche etiche, da rispettare. Se Delmastro si fosse dimesso, lo avrebbe fatto mostrando di aver compreso quantomeno l’inopportunità della condivisione. Ma il suo rilanciare apre la strada a chi in futuro, nel dubbio se qualcosa sia segreto o meno, lo userà e diffonderà richiamandosi proprio al suo gesto.

Ed ancora, il fatto che via sia un’imputazione coatta per la vicenda, con la Procura che un volta tanto ragiona in termini di prevedibilità della condanna chiedendo l’archiviazione, prova anche che ancora vive l’idea che il processo penale in sé sia un passaggio necessario anche quando è inutile. Una pena da infliggere a prescindere dalla concreta punibilità del fatto.

Ma questo comportamento è anche una sponda forte per chi vuole vedere in questi gesti il clima di diffidenza della maggioranza politica nei confronti della magistratura.

Infine, la questione che non via sia chiarezza e nettezza su cosa sia segreto, su chi possa avere o meno delle informazioni, su come vadano trattate e la circostanza che non via sia un organismo indipendente di controllo di queste procedure con pene specifiche di tipo anglosassone (negli Stati Uniti chi diffonde notizie riservate finisce in galera e più povero di un mendicante a vita) rendono l’idea di come il potere non voglia creare uno spazio garantito ed indipendente di gestione del potere, ma voglia un sistema confuso che può essere forzato, piegato e usato a seconda di chi lo governa. Insomma, i prodromi di una inevitabile regressione del sistema stesso, che ormai pare in mano a gruppi più o meno coesi che gestiscono spazi di poteri configgenti piuttosto che agire nella cornice di un Stato di diritto.

Perciò il processo in sé dirà poco, ma molto ci dice il fatto che verrà celebrato. Non un bel segno. Anche se Delmastro, francamente, poteva risparmiarsi le confidenze al suo coinquilino e ammettere di avere fatto un gesto avventato. Ma non è tempo, stiamo ancora tutti ballando mentre ci avviamo verso ovest tra i mari del Nord in una calma sera di inverno. Con la luna, il mare piatto, il cielo terso, ed un enorme iceberg che non vogliamo vedere mentre ci riempiano delle note dell’orchestra e balliamo felici. Non è un segreto come sia finita.

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