Nuove rivelazioni riaprono il caso Eni, che sembrava chiuso dopo l’assoluzione dei vertici dell’azienda per lo scandalo tangenti in Nigeria. Il procuratore aggiunto di Milano, Fabio De Pasquale, e il pm Sergio Spadaro sono indagati dalla procura di Brescia con l’ipotesi di rifiuto d’atti d’ufficio. Già nelle motivazioni dell’assoluzione si leggeva che “risulta incomprensibile la scelta del pubblico ministero di non depositare fra gli atti del procedimento un documento che reca straordinari elementi a favore degli imputati”. Si tratterebbe di un video registrato di nascosto in cui l’ex manager dell’Eni Armanna, sulle cui dichiarazioni si reggeva gran parte dell’accusa della Procura, parla con l’ex avvocato esterno dell’Eni Pietro Amara: Armanna nel video vorrebbe ricattare i vertici dell’Eni rivolgendosi ai pm milanesi. Ulteriori novità emergono dal coinvolgimento del pm Paolo Storari e sul ruolo del procuratore di Milano Francesco Greco. Insomma, quello che viene fuori, apparentemente, è l’intenzione esplicita della Procura di Milano di danneggiare una delle più importanti società italiane partecipate dello Stato. Secondo Frank Cimini, giornalista che ha lavorato al Manifesto, al Mattino, all’Agcom, a Tmnews e attualmente ha un blog, giustiziami.it, “non è niente di nuovo. I pm agiscono manovrando fatti e persone per portare a termine indagini in cui anche in mancanza di prove vogliono portare a casa una vittoria che dia alla magistratura maggiori poteri”.



Da quello che sta emergendo sembra che la Procura di Milano abbia agito per danneggiare consapevolmente i vertici di Eni. Perché? Chi la voleva o la vuole ancora danneggiare?

Il guaio è che spesso i pm diventano militanti del loro stesso processo.

Cosa intendi esattamente?

È peggio che innamorarsi di una tesi o di un teorema: certi pm non hanno l’equilibrio che perfino un magistrato dell’accusa dovrebbe avere. La procedura, il buon senso e anche la Costituzione dicono che il pm deve raccogliere le prove a discapito dell’imputato proprio perché rappresentano la giustizia, la collettività. Invece questi sono talmente militanti del loro processo che proteggono quelli che loro pensano siano il “testimone della corona”. Questo è successo con i pentiti. Ci sono troppi sepolcri imbiancati.



In che senso i pentiti?

Ci siamo dimenticati di Totuccio Contorno che da pentito tornò in Sicilia a combattere contro quella che era la sua cosca rivale? In realtà non c’è niente di nuovo, le logiche sono quelle.

Si voleva danneggiare l’Eni o no?

C’era l’interesse a far condannare i vertici sulla base di quelle che la Procura di Milano considerava delle prove, ma non erano prove nel senso tecnico del termine, perché nella requisitoria con grande onestà intellettuale lo stesso De Pasquale disse: qui non c’è la cosiddetta pistola fumante, cioè la prova provata, dimostrabile. Proponeva una sorta di prova logica deduttiva, che è stata il fulcro di Mani pulite.



Cioè?

Un sacco di gente condannata in base a una prova logica, gente che magari era pure colpevole, ma formalmente furono condannati in base a delle forzature.

In sostanza a certi pm interessa portare a casa una loro vittoria a prescindere da tutto?

E aumentare il potere, perché indagini di questo tipo aumentano il potere non solo del singolo pm, ma anche il potere della magistratura. La giustizia deve fare il processo, se ci sono le prove si condanna, se non ci sono si assolve e il percorso giudiziario è finito.

Armanna e Amara emergono sempre di più come personaggi con le mani in pasta in troppe cose sporche. È così?

Sì, personaggi che hanno probabilmente una sacco di soldi chissà dove, che non sono stati sequestrati proprio perché c’era il problema di tenerseli buoni per utilizzarli. Questo ha portato a uno scontro tra Storari da una parte, supportato da Davigo con i metodi che sappiamo, e dall’altra il procuratore Greco, che sta concludendo male la sua carriera. Non è mai stata così brillante come si dice, però questo finale ce lo poteva risparmiare.

Il ministro della Giustizia ha mandato gli ispettori alla Procura di Milano. Forse in ritardo?

Ci sarebbe stato da meravigliarsi se non l’avesse fatto, comunque sì, in ritardo. Manda gli ispettori a Milano, ma è il minimo, perché le ispezioni non si possono fare sulle decisioni dei giudici, bensì sui comportamenti e qui ce ne sono a iosa. Come si faceva a non mandare gli ispettori a Milano, ma anche a Verbania? Non mi farei però troppe illusioni.

Perché?

Non credo che le ispezioni possano essere risolutive, perché comunque c’è una guerra per bande che è un problema culturale che non si risolve con le inchieste né con gli ispettori. Non poteva non mandarli con il casino che sta succedendo, lo strumento tecnico che ha a disposizione è questo. Staremo a vedere, ma non mi farei troppe illusioni.

(Paolo Vites) 

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