Giunta ormai al suo primo compleanno da premier, Giorgia Meloni si sente ora più forte e sicura di sé. Ha archiviato le scontate polemiche “postfasciste” che ne hanno accompagnato la nomina, ha annacquato non poco il suo programma economico in chiave post-draghiana, ha imparato a tenere contatti con le cancellerie e i premier del mondo, ha tenuto una linea da “falco” pro Usa e Nato sull’Ucraina superando anche molte perplessità interne, ma ora sa di aver davanti a sé e a tempi brevi uno snodo importante: l’Unione Europea.
Non si tratta solo del prossimo turno elettorale, quanto di scegliere come tenere i rapporti con Bruxelles in una partita soprattutto economica e da giocarsi già nelle prossime settimane, ben prima del voto europeo.
Da una parte la Meloni vorrebbe tenere un atteggiamento più rigido con Bruxelles anche in chiave di contrapposizione e quindi di visibilità elettorale, ma – come leader del gruppo “Conservatori e riformisti europei” – sa che solo tessendo una rete di buoni rapporti personali potrà vedere crescere i suoi 57 eurodeputati e costruire con il Ppe una possibile quanto complicata alleanza post-voto.
Oggi l’Italia resiste sul Mes (sua unica e vera carta di pressione), ma avrebbe contemporaneamente bisogno di flessibilità sui conti – e quindi di accordi – per poter varare riforme fiscali e sociali in legge di bilancio ben più ampie e significative, mentre la Bce – con l’aumento continuo dei tassi – sembra far di tutto per complicare i problemi dell’esecutivo italiano, sul quale pesa come un macigno il maxi-debito pubblico pregresso.
Ma c’è un altro aspetto del problema: il commissario direttamente coinvolto per le questioni economiche è proprio quello italiano ed è Paolo Gentiloni, già esponente Pd e quindi oppositore politico all’attuale governo.
Il Trattato sull’Unione Europea richiede che, quando viene nominato, un commissario europeo si ponga su di una base di assoluta indipendenza politica e si spogli della propria provenienza nazionale; nella realtà, i 27 commissari rappresentano prima di tutto gli interessi dei propri Paesi. La loro stessa elezione avviene su una base proporzionata al “peso” che ciascun paese ha nella Ue.
All’Italia spetta sempre quindi un posto di prima fascia, ma Gentiloni è stato piazzato proprio all’economia, ovvero in un ruolo-chiave all’interno della Commissione, e la recente larvata critica della Meloni (che ha sussurrato come Gentiloni difenda poco agli specifici problemi “tricolori”) è probabilmente solo un primo assaggio delle tensioni prossime venture.
Ricordiamoci che – dopo una lunga e prestigiosa carriera – Paolo Gentiloni è arrivato a Bruxelles soprattutto perché in quel momento il suo partito – di cui tra l’altro è stato fondatore – era ai vertici e con i numeri per nominarlo. Oggi che un’altra maggioranza comanda a Palazzo Chigi e il Pd è all’opposizione, c’è un ovvio potenziale attrito politico, soprattutto perché proprio Gentiloni ha tutte le caratteristiche per diventare il prossimo segretario del Pd, con il quale ha percorso tutta la sua carriera.
Soprattutto se la Schlein avesse un “infortunio” elettorale alle europee, è difficile che dalle parti del Nazareno non si apra una nuova guerra per la segreteria e Gentiloni sa bene di poter essere un potenziale ottimo papabile.
Ufficialmente, quindi, Gentiloni continuerà a sostenere di svolgere il proprio ruolo con assoluta imparzialità e mettendo tutti i Paesi Ue sullo stesso piano, ma – se dall’ipocrisia passiamo alla realtà – è difficile pensare che, per esempio, possa fornire qualche “aiutino” extra a una sua decisa avversaria politica e di cui è (e ancor di più potrebbe essere nel prossimo futuro) un competitor diretto.
Ovvio che questo atteggiamento non è e non sarebbe gradito al Governo che comunque – se sarà messo alle strette da Bruxelles – metterà sempre più le mani avanti sottolineando come causa di eventuali “niet” europei a maggiori flessibilità di bilancio anche la freddezza del commissario italiano verso i dichiarati interessi nazionali.
È dunque fatale che la distanza tra Governo e commissario si accentuerà e che si arriverà al confronto (speriamo non allo scontro), visto – soprattutto – che l’Italia ha sulle spalle un debito mastodontico, un Pnrr che è difficile da rispettare, un Mes che non convince e che sullo sfondo c’è il potenziale ritorno a quei parametri del Patto di stabilità che sono e restano un obiettivo ben difficile da raggiungere e soprattutto mantenere.
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