“Il fatto non sussiste”. Con questo assunto il Gup di Catania, Nunzio Sarpietro, ha messo la parola fine sull’imputazione a Matteo Salvini di sequestro di persona e vari altri reati per il caso Gregoretti. L’allora ministro dell’Interno assunse una scelta e il non aver fatto scendere i migranti dalla nave della guardia costiera italiana non rappresenta sequestro di persona.



Ma se a Catania per Salvini è scattato il non luogo a procedere, a Palermo, invece, nei giorni scorsi, era arrivato il rinvio a giudizio nella vicenda Open Arms. Due casi analoghi ma con esiti diversi. Perché? Quali sono le differenze, se ci sono?

Le differenze essenziali fra i due casi sono tre; una di natura legale, una politica ed una che attiene gli equilibri giudiziari.



Sul fronte legale l’unica vera differenza fra i due casi sta nella bandiera della nave. La Gregoretti è una nave della guardia costiera e dunque, di fatto, i migranti erano già, per legge e trattati internazionali, su suolo italiano. Il trattenerli a bordo è analogo al trattenerli in un centro di identificazione e questo fornirebbe uno spunto legale, una giustificazione, un elemento che il giudice potrebbe aver preso in considerazione per il non luogo a procedere.

Il secondo elemento è politico. A Catania Salvini aveva tirato dentro praticamente tutto il primo governo Conte, premier compreso, cosa che a Palermo è riuscita a metà. Un rinvio a giudizio per Salvini avrebbe avuto conseguenze importanti sul fronte politico anche in ambienti diversi da quelli della Lega. Ambienti che forse in magistratura hanno maggior appeal, maggiore considerazione. Ma questa è una considerazione che si fa nei corridoi delle sedi di partito, non certo in quelli dei palazzi di giustizia.



Ma la vera chiave di lettura, stando a sentire il vociferare catanese, è un’altra e sta tutta nelle poche parole degli avvocati delle parti civili: “La Procura si è tirata indietro, noi abbiamo supplito al loro ruolo. A nostra avviso è un vulnus per la certezza del diritto. Abbiamo il processo di Palermo motivato in maniera puntuale dalla Procura di Palermo. A Catania era più facile la strada del rinvio a giudizio, vi erano molto più elementi, invece ci siamo fermati”.

I legali annunciano che chiederanno alla Procura generale di Catania di impugnare la sentenza e dunque la partita non è chiusa del tutto. Se la Procura generale dovesse decidere in questo senso, un altro magistrato dovrebbe pronunciarsi. Ma questa è un’ipotesi a venire.

Rilevante, invece, l’accusa, neanche troppo velata, che gli avvocati rivolgono alla Procura senza alcuna riverenza nei confronti dei magistrati inquirenti: “La procura si è tirata indietro”. 

La procura di Catania, è utile ricordare, fu la prima in assoluto a indagare sulle Ong. Proprio da Catania partì l’inchiesta che fece tanto parlare del sistema di queste organizzazioni non governative. Un’inchiesta poi arginata dagli eventi perché andata a sbattere contro il muro delle competenze. Lo stesso procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, lo disse senza mezzi termini. Le Ong hanno sedi legali in altri Paesi e dunque fu impossibile seguire i filoni investigativi. 

Allora Zuccaro fu attaccato per questa inchiesta ma lui non si scompose. Così come oggi nessuno in Procura si scompone per gli attacchi post decisione del Gup.

E a Palermo, adesso, cosa succederà? Catania si è presa la responsabilità di mettere un piccolo precedente, anche se giurisprudenzialmente non vale nulla. A Palermo dovrà esserci un processo e bisognerà entrare nel vivo senza dimenticare anche un altro passaggio: il primo ad indagare su Salvini, a disporre provvedimenti di sequestro di un’imbarcazione propedeutico solo a far scendere i migranti e, insomma, a schierarsi sul lato “Ong” della barricata, fu il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio che a Palermo ha passato anni fondamentali in procura ricoprendo ruoli importanti, fianco a fianco con molti Pm.

Manlio Viola è direttore di BlogSicilia

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