Per stabilire chi ha ragione nella querelle fra governo e Regione sui dati che hanno erroneamente portato, venerdì 15 gennaio e per una settimana, alla classificazione in zona rossa della Lombardia sarà la giustizia a fare chiarezza. Ieri la Regione Lombardia ha rinunciato a chiedere la sospensiva di fronte al Tar contro il decreto del ministro Speranza, perché – come ha spiegato l’avvocato Federico Freni, che ha assistito il governatore Attilio Fontana durante il contenzioso con il governo – “abbiamo ottenuto la riclassificazione, quindi sono venute meno le esigenze cautelari”, ma – ha precisato lo stesso Freni – il ricorso “prosegue ovviamente nella fase di merito per l’accertamento della realtà storica degli eventi”. Su una questione, invece, la disputa può aiutare a fare chiarezza, affinché venga fugato il sospetto che l’assegnazione dei colori, attraverso un algoritmo poco trasparente, sia determinata più da valutazioni politiche che da argomentazioni scientifiche. Non a caso, proprio ieri,  i governatori della Lega hanno rinnovato “la richiesta di una revisione immediata delle procedure per determinare il colore delle Regioni” in modo da “affrontare con serenità maggiore una grave situazione”.



Per provare comunque a dipanare la vicenda è fuorviante partire dalla mail, mostrata in esclusiva dal Tg3, inviata il 19 gennaio dal direttore generale del Welfare della Regione Lombardia, Marco Trivelli, al direttore dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro: “Con la presente – scrive Trivelli –, a seguito delle odierne interlocuzioni, si richiede che venga eseguito un calcolo dell’indice RTSintomi recependo le modifiche definite a livello tecnico relative al conteggio dei pazienti guariti e deceduti”.



Prese alla lettera, queste parole sono fuorvianti, anche perché – come si sa – la lingua italiana, giocando e giostrando tra verbi, avverbi e aggettivi, si può prestare a più di un’interpretazione. Per capire il senso di quelle affermazioni è infatti più opportuno riavvolgere il nastro fino a sabato 16 gennaio. Quel giorno, all’indomani dell’ordinanza varata da Speranza che colloca la Lombardia in zona rossa, l’assessore regionale al Welfare, Letizia Moratti, scrive al ministro della Salute chiedendo una sospensione di 48 ore dell’ordinanza: “Chiedo al ministro Speranza la revisione dei criteri da parte dei tecnici ministeriali in quanto ci sono ben altre regioni con rischi superiori a quelli della Lombardia non collocate in zona rossa. Sollecito il Ministro Speranza a valutare la reale situazione, perché in altre regioni del Paese il rischio di contagiosità è palesemente superiore a quello lombardo. Si tratta di una pericolosa sottovalutazione, come attesta il dato aggiornato dell’incidenza dei positivi al Covid in quest’ultima settimana, che espone la popolazione di quelle regioni a un rischio di propagazione dell’infezione più marcato di quello lombardo”.



Perché è giusto partire da qui?  Perché il meccanismo di comunicazione dei dati prevede che sia ogni Regione a raccoglierli e trasmetterli al ministero della Salute, che a sua volta li inoltra ai tecnici dell’Istituto superiore di sanità, i quali li elaborano e poi, ogni giovedì, il giorno precedente alla riunione della Cabina di regia in cui si suggerisce la suddivisione a colori dell’Italia, provvedono a reinviarli alle Regioni per la loro condivisione e validazione finale. Primo punto interrogativo: i dati di giovedì 14 sono stati validati dalla Regione Lombardia?

La domanda non è peregrina. Molto probabilmente è proprio a causa di quel passaggio mancante che scatta la “segnalazione” sui dati che non quadrano. E se non c’è validazione, a doversi fare carico del problema è il ministero, non certo la Regione. Seconda domanda: perché allora Iss e ministero hanno comunicato dati non validati, inducendo così la Moratti a scrivere a Speranza chiedendo di sospendere l’ordinanza per 48 ore, visto che i dati non quadravano, e il presidente Fontana ad annunciare il ricorso al Tar?

Solo quando scatta questo ricorso alla giustizia amministrativa, il ministero è disponibile a riverificare i dati. Perché – terza domanda – solo a quel punto?

Il Tar, poi, decide di non discutere il ricorso venerdì 22, ma il lunedì successivo, 25 gennaio, perché vuole acquisire il “Report fase 2” con i nuovi dati epidemiologici sul Covid-19 che saranno oggetto della riunione, proprio venerdì 22, della Cabina di regia. Tocca cioè al ministero dimostrare di aver fornito i dati aggiornati. A quel punto scoppia il bubbone ed è proprio a quel punto che salta fuori la mail di Trivelli, pubblicata su tutti i siti e i giornali.

Ma solo partendo dalla richiesta della Moratti si può capire che quella mail è scritta in assoluta buona fede, perché presume che ci sia stato appunto un confronto tra tecnici del ministero e tecnici della Regione, come mostra il passaggio chiave: “recependo le modifiche definite a livello tecnico”. In sostanza la mail dice: vi abbiamo mandato i dati integrativi e supplettivi decisi in base all’accordo reciproco raggiunto a livello tecnico. Nessun errore, nessun fraintendimento e nessuna correzione, bensì un chiarimento, quel chiarimento che la Moratti, inascoltata, aveva già chiesto una settimana prima.

P.S. La querelle in corso si gioca tutta sull’Rt. A tal proposito, giova ricordare che nel novembre 2020 l’Accademia dei Lincei ha richiamato chiaramente che proprio su questo indice di trasmissibilità “in assenza di trasparenza, ogni conclusione diviene contestabile sul piano scientifico e, quindi, anche sul piano politico (corsivo nostro). Che senso ha decidere l’apertura o la chiusura delle Regioni basandosi su un numero non affidabile, con un’incertezza enorme?”. Commentando questo richiamo dell’Accademia dei Lincei, l’ex presidente dell’Istat, Luigi Biggeri, in una intervista rilasciata proprio al Sussidiario, a precisa domanda sulla poca affidabilità dell’indice Rt rispondeva: “Non è affidabile, è vero, perché sono imprecisi le definizioni e i dati dei singoli fenomeni che compongono l’indice Rt, e cambiano con l’evolversi dei fenomeni”.

Ultima annotazione: proprio ieri l’Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione delle malattie, ha rilasciato la nuova mappa colorata dell’Europa, in base alla quale sono 4 le regioni italiane che molto probabilmente rientreranno nella nuova categoria di zone “rosso scuro”: Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Provincia autonoma di Bolzano. Domanda finale: e la tanto famigerata Lombardia dov’è?

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