La grazia concessa dal presidente federale Gravina ha provocato un’eruzione di commenti. Non c’è bisogno di aggiungerne un altro a un provvedimento che in punta di diritto presta il fianco a diverse contestazioni.
Vogliamo semmai porre una domanda su un piano diverso da quello giuridico. Come in passato per altri casi, anche stavolta vogliamo affrontare la vicenda da una prospettiva culturale. Poniamo il caso che Lukaku durante la partita di Torino fosse stato insultato dal pubblico non per il colore della pelle (atto razzista), ma con offese alla reputazione e all’onore che intaccassero altre sfere della vita personale: affetti familiari, provenienza territoriale, tratti fisici diversi dal colore della pelle, fede religiosa, orientamento sessuale, convinzioni politiche; oppure se fosse stato oggetto di minacce (“devi morire” è uno dei cori più diffusi negli stadi).
Cosa avrebbe fatto il presidente della Federcalcio Gravina? Avrebbe tolto lo stesso l’ammonizione ricevuta dal giocatore (gli valse l’espulsione) che reagì “in modo provocatorio” verso il pubblico? La domanda vale anche per i questori. Avrebbero lo stesso identificato e fatto oggetto di Daspo 171 tifosi che insultavano Lukaku come ha fatto la Questura di Torino? Se la risposta fosse sì, la discussione finirebbe qua.
Permetteteci però di dubitare fortemente di questa ipotetica risposta affermativa. Quasi ogni weekend su vari campi di calcio assistiamo a linciaggi del pubblico verso questo o quel giocatore con ingiurie e minacce che rientrano nelle tipologia su esposte e non succede niente.
Allora bisogna dedurre che esista da qualche parte a noi ignota una classifica degli insulti. Alcuni sono ritenuti gravi, altri no. Ebbene, chi ha deciso che ci si sente più offesi se tirano in ballo il colore della nostra pelle piuttosto che ad esempio (l’elenco sarebbe lungo) i nostri affetti familiari o la nostra provenienza territoriale? La risposta è evidente: il politicamente corretto! Cioè quello che il mainstream mediatico/politico decide di classificare come prioritario in quel momento.
Be’, allora via l’ipocrisia! Mettete nero su bianco la classifica degli insulti (da aggiornare secondo le mode del momento o l’orientamento del potere vigente) e fatelo in fretta perché gli arbitri, da regolamento – come ha ricordato il loro capo –, continueranno a punire con un cartellino giallo chi reagisce al pubblico incivile. Magari si può risparmiare il lavoro al “grazioso” presidente federale con un bel vademecum delle offese (contrassegnato da stellette “di gravità”) da dare in dotazione agli arbitri: con 4 stellette il cartellino giallo resta nel taschino.
Forse è il caso però che il contrasto alla volgarità imperante nei nostri stadi sia affrontato con meno ipocrita improvvisazione e che il bene da tutelare sia considerato non questo o quel segmento della persona, ma la sua integrale dignità.
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