Sulla morte di Maradona i media si sono azzuffati in maniera rocambolesca scrivendo tonnellate di articoli e soprattutto cercando di interpretare una realtà che nessuno, a parte poche persone a lui vicine, poteva e può sottoscrivere con la sicurezza che hanno mostrato certe testate, anche italiane, generalmente di notevole caratura giornalistica.



Ho seguito tutta la vicenda fin dagli inizi, cioè da quando colleghi argentini mi hanno iniziato a scrivere parlandomi di un assembramento di ambulanze alquanto strano (ben 11 alla fine) davanti a casa sua, soprattutto pensando a uno Stato argentino gaglioffo che ha abbandonato migliaia di esseri umani a morire non solo di Covid ma anche di altre infermità non solo senza poter vedere i propri cari e un funerale degno, ma pure astenendosi dai necessari soccorsi (confermando come il populismo sia di fatto molto poco “nacional y popular”) con tutto il contrasto già segnalato al Sussidiario.



Ma il mio pensiero non è corso solo a questa infausta scandalosa e dolorosa coincidenza, ma anche a quella caccia alla deificazione che è subito partita per un calciatore bravissimo, spaziale, incredibile, ma solo come tale. Concordo in parte con quanto ha asserito Sgarbi paragonando Maradona a Caravaggio, ambedue artisti, ambedue maestri e geni nelle loro attività, ma non se ne può dire altrettanto delle loro vite che hanno abbondantemente superato l’espressione di “genio e sregolatezza”. Di certo in questo binomio bisogna sottolineare che Maradona non si è macchiato di delitti (nel vero senso della parola) che hanno attraversato la vita del “Maestro della luce” di bergamasche origini, ma sia i problemi del “Pibe de oro” con la droga, sia tutte le vicende coniugali che altre faccende sulle quali per rispetto al defunto è meglio non parlare, cosa che invece hanno fatto certi mezzi di informazione, non possono di certo costituire un esempio da trasmettere alle generazioni.



Da sottolineare che a parte esternazioni scandalistiche, come una fatta quando ancora la morte di Maradona era tutta da verificare, pur se il quotidiano argentino Clarin l’aveva anticipata, e negli stessi attimi in cui si cercava una conferma in un telegiornale argentino si era iniziato a ipotizzare come causa di morte un’overdose di droga (notizia a dire il vero presentata come una speculazione mediatica da un giornalista televisivo), fa certamente schifo per non dire di peggio la velocità con cui alcuni quotidiani (anche uno italiano) hanno pubblicato l’orrenda foto di un dipendente dell’agenzia funebre fotografato mentre al lato della salma di Maradona fa il segno dell’ok con il pollice della mano. Che bisogno ci fosse di editare una simile nefandezza più degna di un social network spazzatura che (anche) del più autorevole quotidiano italiano sono ancora qui a chiedermelo: eppure quando l’ho vista, lo ripeto, mi ha preso un tale ribrezzo che davvero non capisco cosa abbia portato certi redattori a pubblicarla. Come pure inspiegabile mi pare sia l’accanimento contro il suo medico personale, preso come capro espiatorio di tutta una vicenda dai contorni abbastanza chiari, anche se in aggiunta ora c’è pure la testimonianza di un’infermiera che afferma che Diego sia caduto battendo la testa una settimana prima della morte, ma nessuno l’ha portato in ospedale. Insomma, chi più ne ha più ne metta e chissà quante altre rivelazioni avremo sul caso…

Ma torniamo al personaggio Maradona e la “sua” Napoli, città che ora le dedicherà il proprio stadio: un amore smisurato e coltivato attraverso leggende anche metropolitane non più possibili oggi, nell’epoca degli o delle influencer e dei social network. Se Diego avesse potuto usufruire durante il suo soggiorno partenopeo di questo, la sua figura si sarebbe di certo sminuita nella favola che poi l’ha accompagnato nel resto della sua vita: e questo perché negli anni ’80 e ’90 c’era ancora spazio per le leggende e la vita dei campioni come pure delle star a tutti i livelli non era massicciamente seguita all’istante da milioni di persone ai quattro angoli del mondo.

Rimane però un mistero come invece la leggenda di un Maradona “per il popolo” sia continuata anche ora, dopo che certi suoi exploit e prese di posizione a favore dei tiranni che dominano il populismo latinoamericano e non gli hanno procurato critiche ferocissime proprio nella sua Argentina, dove ormai il campione sportivo per moltissimi è sceso dal Paradiso in cui in gran parte del resto del mondo rimane confinato e, ancora di più, nella “sua” Napoli.

Ma sicuramente ciò è dovuto al fatto che in Argentina anni di peronismo e successivamente del kirchnerismo (che ne rappresenta l’evoluzione) sono stati vissuti in prima persona, con gli scandali, le ruberie e la separazione politica, ma soprattutto la povertà diffusa e utilizzata come fattore politico, unita a una fallimentare sinistra che si è letteralmente prostituita (organizzazioni per i “diritti umani” incluse) in cambio della sua fetta di potere “economico”. Tutto un mondo che Maradona esaltava all’ennesima potenza, ma che alla fine ha fatto sì che il campione che durante la sua volata del secolo verso la porta di Shilton nella famosa partita dei Mondiali del Messico ’86, che aveva idealmente 32 milioni persone (una Nazione intera all’epoca) dietro di sé, esaltato come un Dio, sia poi per molti tornato a essere semplicemente un uomo e nulla più.