Si chiama Mes, normalmente viene detto fondo salva-Stati, l’acronimo sta per Meccanismo europeo di stabilità. Ed è improvvisamente tornato sotto i riflettori dopo che in un seminario Bankitalia-Omfif il governatore Visco ha lanciato l’allarme. “I piccoli e incerti benefici di una ristrutturazione del debito devono essere ponderati rispetto all’enorme rischio che il mero annuncio di una sua introduzione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default”, ha detto il governatore. Proprio così: enorme rischio. Ne abbiamo parlato con Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano. “Ci rendiamo conto di quello che vorrebbe dire per il sistema bancario nazionale una ristrutturazione forzata del debito italiano?” si chiede il giurista. La risposta? “Sarebbe un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una sorta di bail-in applicato a milioni di risparmiatori” ha detto in audizione alla Camera Giampaolo Galli, vicedirettore dell’Osservatorio sui conti pubblici presieduto da Cottarelli.



Ma vediamo di capire. Il Mes è un fondo comune di credito che ricapitalizza Stati e banche in difficoltà. Un benefattore europeo a 12 stelle dorate in campo blu? Tutt’altro: il Mes non elargisce a costo zero. Lo fa alle sue condizioni: le cosiddette “strette condizionalità”. Che vuol dire totale controllo sulle politiche di bilancio dello Stato richiedente. Anche a costo di impoverire tutti.



Il Mes è un caso perché sulla sua “riforma” (di cui il Sussidiario parlò nell’agosto 2017) hanno richiamato l’attenzione Alberto Bagnai e Claudio Borghi fin da quando la Lega era al governo, alla “notizia” – si fa per dire – che il Mes era oggetto di trattative riservate da parte di Tria e Conte. Ma il loro allarme è rimasto inascoltato, fino – appunto – alla parole di Visco.

Che ne pensa di questa vicenda, professore?

Mi pare che non ci si dovrebbe stupire. Sono stati pochi quelli che hanno capito cosa sarebbe stato il Mes e che ruolo avrebbe assunto. Era già tutto scritto. Noi nel Mes ci siamo, ci staremo ed è bene che continuiamo a starci. Così com’è. Che non è granché, ma dà un’impressione di stabilità ai mercati. Abbiamo pagato molto negli anni – cifre dell’ordine di qualche decina di miliardi – e solo adesso ci si accorge di che cosa sia.



Ripetiamolo, per favore.

Il Mes è il figlio di una stagione di crisi, è stato generato da una crisi, e adesso vuole consolidarsi fino a diventare parte integrante del diritto dell’Unione. Fino ad oggi è un Trattato internazionale che ha dato origine a quello che, asetticamente, si definisce un “veicolo finanziario”.

Lo chiamano così, infatti. E invece?

In realtà è un soggetto di diritto internazionale che esercita attività bancaria avvalendosi, però, dello statuto e delle garanzie di un soggetto sovrano. Che può rifinanziare singoli Stati o singoli sistemi bancari, però sotto “stretta condizionalità”. Non so se ci si rende conto delle implicazioni politiche dell’adozione di meccanismi propri del diritto commerciale e bancario a regolare i rapporti fra Stati. Si è un po’ in ritardo se ci si preoccupa adesso di cosa sia il Mes.

C’è stato anche un caso mediatico, quello dell’“enorme rischio” citato da Visco con richiesta da parte di Bankitalia alla Reuters di ammorbidire l’espressione. È stato spropositato Visco oppure il rischio è reale?

Che Bankitalia, che non è propriamente anti-europeista, abbia manifestato profonde preoccupazioni al riguardo dovrebbe dirla lunga. Il punto è che probabilmente i buoi sono già usciti dalla stalla anni fa. E solo adesso ci si accorge che la stalla è vuota. Si vuole far diventare il Mes un Fondo monetario europeo, che integri il ruolo della Bce sul versante dell’essere “prestatore di ultima istanza”. La Bce non può essere prestatore di ultima istanza; quelle funzioni sono state surrogate dal programma Omt (Outright monetary transactions) di Draghi, su cui c’è stato contenzioso presso la Corte di Giustizia (casi Pringle e Gauwailer), e adesso, in una fase di crisi bancaria incipiente – si pensi solo all’esposizione di Deutsche Bank sul mercato dei derivati, pari a 20 volte il Pil tedesco – si ha fretta di chiudere il cerchio, creando un prestatore di ultima istanza. Intanto si riforma il Mes, poi si penserà al suo inserimento nell’intelaiatura istituzionale dell’Unione.

Cosa pensa di quanto ha detto qualche giorno fa nella sua audizione un economista tutt’altro che anti-euro, come Giampaolo Galli?

Merita attenzione per la chiarezza nell’esposizione dei problemi. Ci sono, in quel testo, alcune osservazioni francamente curiose, come ad esempio l’idea che il Mes avrebbe una sua “legittimità democratica” “dal momento che i suoi azionisti sono i governi degli Stati membri, la cui legittimità è garantita dalle leggi nazionali”. Il che equivale a parlare di legittimazione democratica del diritto internazionale e di legittimazione democratica di una banca sovrana, solo perché un qualche trattato concluso da Stati democratici si occupa di attività bancaria. Capirà che siamo un poco fuori tema. Ma la sostanza dei problemi in gioco lì viene inquadrata molto bene. E si manifestano preoccupazioni che orami sono proprie dello stesso sistema bancario nazionale.

E torniamo così all’allarme di Visco. Perché adesso?

Bankitalia ha capito che rischi corre con l’approvazione delle modifiche che due anni fa chiedeva Schäuble, e che sono state oggetto di una dichiarazione congiunta franco-tedesca nel giugno 2018. A stretto giro quella dichiarazione è stata ripresa – sempre in giugno – dall’Eurogruppo, che è un altro organo misterioso e non previsto dai Trattati, e da un Eurosummit cui ha partecipato il governo italiano, nella sua versione Conte-1.

Ieri del Mes ha parlato anche Salvini su Facebook: “Pare che, nei mesi scorsi, Conte o qualcuno abbia firmato di notte e di nascosto un accordo in Europa per cambiare il Mes, ossia l’autorizzazione a piallare il risparmio degli italiani. Non lo lasceremo passare. Sarebbe alto tradimento, se qualcuno senza interpellare Parlamento avesse trasformato il fondo salva stati in un fondo ammazza stati”. Salvini dice “nei mesi scorsi” ma in quel periodo al governo c’era lui. Questo che considerazioni le suggerisce?

Guardi, io capisco che se si chiede al cittadino medio cosa sia il Mes e a cosa serva si possa ricevere in cambio un punto interrogativo. E capisco che il cittadino medio possa credere che il Governo risponde al Parlamento. Il punto è che in realtà la situazione è invertita. Quando è in carica, ogni Governo, se crede, fa quello che vuole, e poi, eventualmente, se la vede in Parlamento, sempre che in Parlamento si voglia stare a controllare sempre e comunque quello che fa il Governo.

In altre parole, ha un margine di autonomia che può essere più o meno compresso dal controllo parlamentare solo a posteriori.

È così. E tale margine di autonomia è ineliminabile, soprattutto in sede di esercizio di potere estero. Tenga conto che delle fasi di revisione di un trattato non c’è, per definizione, un resoconto, come se si avesse a che fare con un dibattito parlamentare. In questi casi i governi dialogano tra loro, informalmente e a porte chiuse. Poi, al limite, si fa una bella e scenografica conferenza stampa per il pubblico.

Insomma, abbiamo dormito?

Il caso del Mes è stato totalmente sottovalutato dalla stampa, nonostante Borghi e Bagnai si siano spesi fin da allora per portarlo all’attenzione dei media. È che se la gente non sa cos’è il Mes e a cosa serve, non ha senso dire “il Governo è caduto per il Mes”, perché è una frase senza senso. Si deve sempre dubitare delle spiegazioni monocausali, e quindi sarebbe sciocco dire che il Conte-1 è caduto su quegli Eurogruppo ed Eurosummit. Che questo abbia grandemente influito sulla posizione di chi era in grado di comprendere la situazione, però, mi pare fuori di dubbio. Bagnai questa cosa l’ha ripetuta da agosto e l’ha indicata come una delle cause principali di caduta del Conte-1. È che, semplicemente, la gente non capiva di che cosa stesse parlando.

“Abbiamo sempre denunciato il sospetto segreto con cui il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e l’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria, hanno condotto le trattative senza mai informare il Parlamento, pur essendone obbligati per legge. La loro reticenza ci aveva indotto persino ad interrogazioni parlamentari addirittura quando eravamo parte della stessa maggioranza”. Lo hanno detto Bagnai e Borghi in una nota il 14 novembre.

Se ci si stupisce di questo vuol dire che non si è letto o non si è capito l’attuale Trattato Mes. E le clamorose anomalie che conteneva fin dall’inizio. Il Mes e i suoi funzionari godono di piena e perfetta immunità da ogni giurisdizione. Non possono essere oggetto di perquisizioni, ispezioni o altro da chicchessia. I suoi documenti sono secretati. Gli organi di vertice non sono perseguibili per gli atti adottati nell’esercizio delle loro funzioni. I governatori – e cioè i Ministri economici degli Stati aderenti al trattato: in poche parole Tria o chi per lui – sono tenuti – ripeto, sono tenuti – al segreto professionale nel momento in cui operano all’interno del Mes, tanto durante quanto dopo l’esercizio delle loro funzioni (art. 34). Questa è legge dello Stato, non è aria fritta. Lei capisce che questa è una norma che ha perfettamente senso dentro una banca. Cosa succede se la logica del segreto professionale la colloco nel rapporto tra Governo e Parlamento? Ci sta o non ci sta che un ministro debba tacere di fronte al Parlamento? Ci si rende conto di cosa si è fatto approvando una norma del genere nel 2012? E di quanto si è alterato il meccanismo di responsabilità politica disegnato in Costituzione tra Ministro e Parlamento? Se a questo aggiunge che l’esercizio di potere estero sfugge, per sua natura, al controllo delle Camere, tranne che in certi casi tassativamente indicati dall’art. 80, si capisce quanto fantasiose siano certe rappresentazioni del lavoro parlamentare che si trovano sui giornali? Pensi ai trattati segreti o ai trattati adottati in forma semplificata. Si dice che non tutti i cammelli possono passare per la cruna dell’ago. In realtà ci si dimentica di dire che certi cammelli non hanno neanche bisogno di passarci per la cruna dell’ago.

Ma tutto questo è corretto?

Che sia più o meno corretto non è affare mio giudicare. Mi limito a dire che il testo della riforma è arrivato prima su internet che in Commissione per un dibattito sul punto. Diciamo che Conte e Tria sono stati tutt’altro che solerti nell’informare le Camere dell’esito di quegli incontri e chiudiamola lì.

Possono essere accusati di alto tradimento, come ha ipotizzato Salvini?

Le denunce per alto tradimento di oggi hanno tanto valore quanto le minacce di messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica del maggio 2018. Non che non ci siano state delle anomalie in entrambi i casi – e vorrà apprezzare il mio eufemismo – ma è un modo molto scolastico di vedere le cose. È come credere che siccome dal Codice Civile si ricava che il vicino di casa non deve abusare delle parti comuni, il vicino non possa lasciare gli ombrelli bagnati fuori dalla porta. La triste verità è che il vicino fa quello che gli pare, fa finta di niente e semmai sta a vedere cosa succede al suo ombrello. Piaccia o non piaccia il diritto funziona così.

Fuori di metafora?

Fuor di metafora, l’art. 34 del Mes è fatto per interrompere gli obblighi di comunicazione e responsabilità tra Parlamenti nazionali e Ministri. Certo, nel caso di Tria non si applica l’art. 34 Trattato Mes, sul segreto professionale, ma quello è il principio. Che pone un enorme problema costituzionale di Ministri legittimati a mentire o a tacere di fronte alle Camere. Si rende conto, adesso, quanto ridicolo sia parlare di legittimazione democratica del Mes, come fa Giampaolo Galli? È come parlare di legittimazione democratica di una banca, perché la legge la legittima a fare la banca. Sarebbe tutto molto divertente, non fosse che rischia di essere tragico per le sue conseguenze.

Ecco, veniamo alle conseguenze. Perché tragico?

Per le stesse ragioni messe in chiaro da Galli nel suo intervento. E che hanno fatto muovere Bankitalia. Per la marginalizzazione del ruolo della Commissione nella valutazione dell’opportunità di rilasciare finanziamenti ai singoli Stati in caso di bisogno: la Commissione viene ritenuta ormai un organo troppo “politico” già nella burocrazia di Bruxelles, che rivendica un suo ruolo contro la Commissione. Per la scelta di condizionare il rilascio di finanziamenti a una ristrutturazione preventiva del debito. Per l’inclusione di clausole di azione collettiva nelle emissioni di debito pubblico dal 2022 in poi, costruite per facilitare quelle operazioni di ristrutturazione del debito che sembrano essere il cuore di questa riforma.

Possiamo semplificare, senza nulla togliere alla difficoltà della questione?

Voglio dire che se un bel giorno si arrivasse ad una situazione di crisi dello spread, tale da precludere l’accesso dell’Italia al finanziamento dei mercati, e si dovesse chiedere l’intervento del Mes – del quale saremmo comunque i terzi contributori – sarebbe il Mes, e non la Commissione, a valutare sulla base di meccanismi automatici l’opportunità di chiedere una ristrutturazione del debito pubblico; sarebbe il Mes a determinare le “condizionalità” – e cioè le politiche economiche da lacrime e sangue da praticare – per ottenere questo finanziamento; e sarebbe sempre il Mes, alla fine, a determinare il contenuto di questa ristrutturazione. Peccato che il debito pubblico italiano sia detenuto per il 70% da banche nazionali.

E quindi?

Vuol dire che una ristrutturazione di quel debito inciderebbe in modo pesantissimo sui bilanci di banche che hanno comunque sostenuto – oggi assai più che in passato – il debito pubblico nazionale. Ci rendiamo conto di quello che vorrebbe dire per il sistema bancario nazionale una ristrutturazione forzata del debito italiano? E perché si parli di questa riforma come di una pistola puntata alla tempia dei risparmiatori italiani?

(Federico Ferraù)