Si annuncia che l’esercito distribuirà il vaccino anti-Covid a differenza di quanto accade nelle nazioni “normali” in cui queste funzioni sono svolte dalle grandi imprese di logistica (la Germania con DHL docet). Un ex ministro dell’Economia viene nominato nel CdA di una grande banca privata poco tempo dopo aver lasciato il suo incarico. Una banca che è l’unica ad avere in Italia una dimensione internazionale e che è stata sottoposta a una vera e propria spoliazione negli anni trascorsi vendendo i suoi gioielli della corona alle oligarchie finanziarie più prossime culturalmente all’Ad che ora si “auto-annuncia” non rinnovabile per interni contrasti con il CdA. Il problema: un contrasto sull’incorporazione per fusione di una grande banca un tempo territoriale che dovrebbe trovare un futuro grazie alla presenza dello Stato in economia. E soprattutto in un plesso territoriale delicato e foriero di disastri sociali, nonché per le minacce di distruzione di valore capitalistico finanziario oltreché di posti di lavoro e di stabilità sociale.
Tutto ciò accade mentre il Governo italiano è sottoposto a tensioni fortissime sia al suo interno, sia per le pressioni che vengono dall’estero sulle diverse compagnie di ventura che lo compongono. Esse rispondono sia a potenze revistioniste dell’ordine liberal-deomocratico, sia a potenze dell’anglosfera. Pare che la gran parte di esse siano sostenute in vita dai variabili petites empereurs che da secoli giungono dalla Francia con assiduità e tutti guidati dallo stesso spirito di Napoleone III che pensava a dominarla, l’Italia, piuttosto che a liberarla, come ci disvela una storiografia non letta ma copiosissima e che diviene ogni volta storia crocianamente intesa, ossia contemporanea.
Ma la compagnia di ventura forse più numerosa e che costituisce l’establishment blindato dalla borghesia vendidora è quella dipendente dalle tecnocrazie europee e che riflette, dunque, l’instabile gioco di potenza che dura da secoli tra Francia e Germania e che ora ha il suo punto di caduta nella questione del cosiddetto Mes, ora ch’esso si presenta “modificato”, con l’esaltazione della sua essenza di Trattato sì tra Stati, ma con le regole di una special purpose entity finanziaria. Essa deve oggi porsi il compito di sanare la crisi delle banche tedesche e francesi e nel mentre consentire al timoniere del Mes medesimo – e quindi alla potenza dominante europea – di aver l’occasione di regolare per sempre una volta per tutte le economie sottoposte al capitalismo estrattivo teutonico- renano che essa incarna.
Certo qualcosa si dovrà pur dare alla Francia, come già s’intravede nella mossa piena di sicurezza che la cuspide francese ha realizzato sul podio dell’industria cantieristico-armatoriale, ponendo in forse la fusione a vantaggio di Fincantieri dei centri armatoriali strategici francesi da tempo programmata e mai avvenuta. Non a caso dopo l’effettuazione di una breve ma efficace visita dell’attuale ministro francese dell’Economia in Italia essa sempre più si allontana, nel mentre che altre banche vengono poste sotto la tutela degli intermediari finanziari francesi.
In questo contesto arriva nel Mediterraneo e nella Nato, dico nella Nato, Biden con la sua squadra interventista e umanitaria (la stessa della Libia e della Siria che ancora divampano in guerre per procura). Dico ciò perché Biden della Nato vuole occuparsi direttamente, nonostante il neogollismo di Macron e, di contro, le finte frenesie atlantiche tedesche: esse altro non sono che un fumo da avanspettacolo per nascondere ciò che invece il gruppo di controllo dell’economia tenta di perseguire, ossia ancor più diretti legami con la Cina.
Del resto se una grande potenza non può render manifesta la sua trascendenza politica su scala internazionale anche con la minaccia della forza che altro può fare che perseguire attraverso l’economia la sua potenza globale anche se è una potenza terrestre e non marittima? LSC’economia della globalizzazione eleva quella sua potenza grazie alle tecnologie digitali e agli algoritmi, così permettendole di perseguire i suoi “destini” tradizionali di dominio. Essi la portano inevitabilmente a competere – per via dello sviluppo ineguale delle forze produttive – e non solo a collaborare con il capitalismo nordamericano, così rieditando la polemica tutta francese (e solo francese un tempo) di concorrenza con gli Usa. Il cavallo su cui si sale in questa battaglia è quello della Cina. Saranno scavalcati e ammaccati. Ma di ciò parleremo un’altra volta.
Chi non cade da cavallo, ma invece ci sale con incredibile tempismo è, in Italia, Silvio Berlusconi, che par aver compreso bene da sé – o aver bene ascoltato i consigli degli appena giunti influenti interlocutori transatlantici – ciò che accadrà nel mondo dopo la sconfitta di Trump. E parlo qui solo di ciò che accadrà in futuro nella spoliazione mediterranea che si prepara: si parla dell’arrivo degli Usa non solo più con la portaerei Nimtz e la necessaria azione di contrasto alla Turchia e al fondamentalismo islamico, ma anche riservando particolare attenzione all’Italia. Ossia interagendo con ciò che rimane del suo establishment in forma molto più strategica e diretta di quanto non fece Trump, che solo i miopi potevano pensare che fosse un interlocutore destinato a durare. L’Italia rimane un interlocutore strategico per gli Usa.
La mossa di Berlusconi e Tajani di rifiutare la ristrutturazione del Mes è significativa. Ma più significativo che mai è il ruolo di Tajani: egli, per il suo passato europeo, diviene il vero interprete di un cambiamento non episodico. Esso è destinato a mettere in discussione ciò che rimane delle mucillaggini peristaltiche e delle aggregazioni caciquistiche che si sono mosse, con la pandemia, al definitivo e pieno controllo di ciò che rimane dell’apparato di uno Stato ormai ridotto a un albero scheletrico che crolla da tutte le parti e che viene disgregato dalla proliferazione degli enti di fatto come le task force, i gruppi di lavoro, sino all’ultima creazione di enti di fatto dediti al drenaggio e non alla strategica utilizzazione trasparente dei fondi europei. Che di ciò s’indigni un interlocutore come Sabino Cassese, scrivendone su quello che un tempo era il giornale della borghesia italiana, significa che siamo veramente giunti alla catastrofe istituzionale. Chi, come me, ha vissuto per tanto tempo le vicende argentine come quelle di un’altra patria non può che tremare.
Oggi la storica borghesia non c’è più. Ma può risorgere – con la cultura e la cura spirituale delle persone – se ci si rivolge a quella borghesia allo stato eternamente nascente costituita dalla piccola e media impresa. Essa avrebbe veramente bisogno di uno Stato non sovietico, non nostalgico di ciò che non può più tornare (l’Iri, la Cassa del Mezzogiorno), ma che sia amministratore non solo per spendere e distribuire, ma per investire e per programmare.
Ma chi programma se non esistono più i programmatori? E poi: senza ideali civili programmare non si può. Questo insegna la dimenticata storia (e anche la storiografia).