La polemica improvvisa sul Mes (Meccanismo europeo di stabilità, che negli altri Paesi si codifica dall’inglese con Esm) offre due livelli di analisi ben diverse fra loro. Il meccanismo, concepito nel 2011, è una sorta di fondo che interviene ad aiutare finanziariamente la singola nazione europea quando questa si trovi in serissime difficoltà economiche. Basta dirla genericamente per capire la vicenda. Sembra – e qui è il primo vero nodo – che si stia intervenendo per modificare questo meccanismo. L’unica e clamorosa, nonché grave notizia sarebbe allora se fosse vero che queste modifiche stanno o stavano avvenendo attraverso negoziati segreti. Che è il cuore della polemica Conte-Salvini.
Stando al tenore delle prime dichiarazioni di Conte, che si presenterà in Parlamento a inizio di dicembre per rispondere su questo, e per quel che si ricava indirettamente da altri (in particolare il Governatore della Banca d’ Italia) non dovrebbe essere così. C’era un confronto, c’era un’agenda e chi aveva titolo e diritto vi ha partecipato e si esponeva. Però in un Paese serio il battibecco è vergognoso e indecente e la verità va chiesta e accertata bene. Dobbiamo sapere se le forze politiche, tecniche e istituzionali e quindi le persone che le occupano pro-tempore erano incluse e partecipi di questi negoziati. Sì o no. Perché uno dei due, diversamente, parla a vanvera in senso clinico.
Nel merito dietro la polemica c’è un aspetto buffo e uno tragico. Quello buffo è questo: è trapelato che queste modifiche abbiano lo scopo di far diventare più tecnico, meno politico, più rigoroso lo spazio di manovra e – fra altre cose anche procedurali – che vogliano prevedere delle imposizioni molto più serie a quei Paesi che abbiano un debito esagerato. Se vogliono l’aiuto, gli Stati molto indebitati devono ristrutturare questo debito. È come se uno, pur con un buon flusso di cassa, pur con dei fondamentali accettabili, ma con un’esposizione debitoria impronunciabile entrasse in banca e dicesse: “A me servirebbe altra finanza, ma non chiedetemi a riguardo del mio debito perché di quello non se ne deve nemmeno parlare”. Provano a farlo uscire subito, immediatamente e in caso, se serve, chiamano l’ambulanza più che i Carabinieri.
La parte tragica della notizia è quella indirettamente ricavabile dalla battuta molto precisa del Presidente dell’Abi (l’associazione sindacale delle banche) Antonio Patuelli. Questi, non si sa se con mandato degli associati oppure d’impeto, ha dichiarato che se intervenissero quelle modifiche le banche italiane (e moltissimi altri soggetti istituzionali, ha aggiunto) non comprerebbero più un solo euro di debito pubblico italiano e forse si disferebbero di quello che hanno. La notizia non è tragica, è da far tremare i polsi. Perché tradotto significherebbe che la stima e la considerazione sulla capacità del Paese di gestire e onorare il debito è tale che se per caso qualcuno pensasse di volerne parlare (di questo debito mostruoso), i principali attori dell’economia interromperebbero ogni rapporto con quel cliente (cioè lo Stato).
La realtà è invece che sembriamo i primatisti mondiali delle occasioni perse. Perché se è vero che questo dibattito/negoziato è in corso da un bel po’ (l’ha detto Conte), hanno ragione quegli umili e ottimi commentatori che osservano, qua e là, che sarebbe stata l’occasione e il luogo per portare argomenti e ragioni secondo i quali non si può ingigantire un fattore, il debito, a discapito dei tanti altri che servono a completare un profilo economico e finanziario. E ciò non solo per l’Italia, ma per rispetto dell’intelligenza e della prospettiva stessa dell’Europa. Perché oltre il debito c’è il risparmio privato (e in Italia regge miracolosamente a livelli di primi nel mondo), c’è la bilancia commerciale (e in Italia va bene da diversi anni a dispetto delle globalizzazioni e dei suoi rigurgiti); c’è la qualità del patrimonio pubblico (e in Italia è immenso). Queste cose, le sanno dire gli uomini e le istituzioni che dovrebbero saperlo dire?
Infine, per dovere di cronaca, un plauso al Governatore Ignazio Visco che invece, almeno lui, non solo ha smentito di essere anch’egli critico con quella prospettiva di modifica del Mes, che peraltro – sembra di capire dalle dichiarazioni – non ha per nulla confermato di aver registrato in quel modo, nei tavoli in cui ha partecipato, smorzandone anche l’allarme (come di cosa che è già così). Ma soprattutto ha collocato il problema del Mes (con tutto ciò che gli si collega) nel contesto dell’integrazione economica, finanziaria e fiscale dell’Unione europea che segna un serio stallo proprio mentre appaiono più chiari e urgenti di un tempo, i benefici e la fattibilità di alcuni passaggi che devono affiancare l’unione monetaria.