Il nome di una persona non indagata è finita su tutti i giornali perché compariva in un’ordinanza di custodia cautelare. Ci riferiamo al caso Gianfranco Miccichè, ex ministro e senatore di Forza Italia, ritenuto acquirente di droga in relazione ad un’inchiesta per spaccio. Un fatto grave per il professor Oliviero Mazza, avvocato e ordinario di Diritto processuale penale all’Università di Milano-Bicocca. “Il problema è ben noto, ma finora è stato affrontato solo con un timido divieto di inserire nella motivazione di tale provvedimento riferimenti non essenziali alle intercettazioni“, spiega nell’intervista rilasciata a Il Dubbio. A proposito del segreto investigativo, precisa che non era stato pensato per le decisioni del gip. “Solo nel 2017 è stato esteso ai provvedimenti in materia di intercettazioni, ma tuttora restano escluse le decisioni cautelari“.
Quindi, non essendo coperte dal segreto, “risultano pubblicabili anche nel corso delle indagini“. Il professor Mazza evidenzia che si tratta di una “precisa scelta legislativa” quella di permettere la pubblicazione delle decisioni del gip, d’altra parte ritiene che vada “ripensata proprio per evitare il troppo facile aggiramento del divieto di pubblicazione degli atti di indagine“. Di fatto, l’ordinanza cautelare diventa lo strumento per pubblicare i risultati delle indagini.
PRIVACY E INFORMAZIONE, IL COMPROMESSO PROPOSTO DA MAZZA
Se in Europa il bilanciamento del diritto alla privacy e quello all’informazione sui personaggi pubblici è consolidato, in Italia la situazione è differente. Il caso di Miccichè per il professor Oliviero Mazza è peculiare, “in quanto il politico non era oggetto di indagini e l’eventuale uso personale di stupefacenti non costituirebbe comunque reato“. Per questo motivo, spiega a Il Dubbio, è “difficile giustificare un interesse pubblico alla notizia, a meno di non ritenere che questo dato sia strettamente correlato all’azione politica di Miccichè. Ma non mi sembra che sia questo l’intento perseguito dai giornalisti“. Pertanto, l’esperto ritiene che ci sia stata sproporzione. Per non arrivare ad una norma che impedisca la pubblicazione dell’ordinanza cautelare, ipotesi remota in Italia, si può arrivare ad un compromesso.
“Si potrebbe trovare un ragionevole punto di equilibrio nella pubblicazione della sola notizia del provvedimento restrittivo, seguita dalla informazione relativa alla motivazione del riesame o dell’ordinanza genetica quando non sia impugnata“. In questo modo si garantisce un’informazione che tiene conto delle osservazioni difensive. Lo stesso Mazza è però consapevole di quanto i divieti siano inefficaci, motivo per il quale ritiene più realistico imporre “una motivazione cautelare estremamente asciutta, selettiva e limitata ai fatti strettamente rilevanti per le incolpazioni“. Mazza suggerisce anche rigore nelle sanzioni per chi viola la regola della pubblicazione delle notizie, che si giustifica solo con riferimento ai reati, “mentre è puramente lesiva della riservatezza quando riporta circostanze che non hanno nulla a che vedere con gli addebiti penali“.
“SERVONO REGOLE CHIARE E SANZIONI RIGOROSE”
Il riferimento di Oliviero Mazza, comunque, non è a sanzioni penali, anche perché sarebbero legittime le obiezioni fondate sulla libertà d’espressione, bensì disciplinari e interdittive, per il giornalista e la testata. “Poi è chiaro che bisognerebbe regolamentare anche l’accesso agli atti ostensibili mediante un apposito fascicolo a disposizione di tutta la stampa“. Inoltre, si esprime sul ddl Nordio, spiegando che la riforma della giustizia va nella direzione giusta per quanto riguarda i limiti alla pubblicazione delle intercettazioni. D’altra parte, “sconta il difetto di precetti privi di sanzioni effettive“. Nella fattispecie, il divieto di citare i dati personali di soggetti diversi dalle parti prevede comunque un’eccezione, ad esempio “quando ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione dei fatti oggetto di accertamento“.
Pertanto, fare il nome di Miccichè, ad esempio, “potrebbe essere inteso come una specificazione del fatto reato“. Ma Mazza evidenzia anche un paradosso, cioè che “più le regole diventano di dettaglio e più è facile aggirarle“. Quel che serve è un salto culturale: “Non basta continuare a denunciare le degenerazioni e intervenire settorialmente, bisogna definire poche regole chiare e puntare sul senso di responsabilità di tutti, rafforzato da sanzioni effettive in presenza di violazioni“. Il riferimento non è solo ai giornalisti, ma anche a chi distribuisce gli atti processuali.
DDL NORDIO, L’ANALISI DEL PROF MAZZA
Più in generale, riguardo il ddl Nordio, il professor Oliviero Mazza precisa a Il Dubbio che “quello che conta è la netta cesura con l’ideologia della riforma Cartabia“. Quindi, si passa “dall’efficientismo repressivo all’efficienza delle garanzie“. Ma l’avvocato e docente non condivide le critiche sull’irragionevolezza dell’abolizione dell’appello del pm per i reati a citazione diretta. “Il problema sono i moduli processuali differenziati, che contrastano con la presunzione d’innocenza: ma rispetto al passato, oggi si differenzia nell’ottica comunque di un aumento delle garanzie“. Chi critica questa scelta dovrebbe allora contestare l’idea del doppio o triplo binario che caratterizza le procedure differenziate per il tasso ridotto di garanzie per i reati più gravi.
“Incrementare le garanzie, sia pure solo per certi reati, è comunque una scelta che segna un’inversione di tendenza e non è in sé criticabile“, rimarca Mazza. Infine, delinea la prospettiva, quella di ripensare il processo penale ab imis: “Oggi è diventato uno strumento efficiente di difesa sociale o della vittima, mentre dovrebbe tornare a essere il giardino inviolato della cognizione“. Allo stesso tempo, il tema della libertà personale dovrebbe fondarsi sull’esclusione della custodia cautelare, “ponendo come misura massima gli arresti domiciliari, lasciando la possibilità della carcerazione solo in caso di dimostrato pericolo di commissione di crimini violenti da parte dell’imputato“.