La questione lombarda rischia di essere la bomba che farà detonare il Pd. La probabile candidatura di Letizia Moratti per uno schieramento promosso da Renzi e Calenda apre la fase competitiva vera dei giochi interni al partito. In altri tempi il Pd avrebbe posto il suo peso specifico ed unitario a disposizione di Letizia per aprire una stagione di riscossa nel Nord, chiedendo garanzie sulle politiche sociali e sui temi della gestione della crisi economica e sarebbe stato lieto di aggregare alle sue fila una ex sindaco con origine nello schieramento avverso. Avrebbe relegato ad una candidatura di bandiera le forze più ostili poste alla sua sinistra e si sarebbe preparato alla riscossa.
Se non per convinzione, l’acume politico della vecchia classe dirigente non avrebbe perso l’occasione di smontare il sistema di potere leghista nella regione con il Pil più alto del Paese Un’operazione tattica ma con connotati strategici importanti, considerando che il governo del centrodestra in Lombardia va avanti dal 1995 ed è praticamente impossibile batterlo se non prendendosene un pezzo.
Sennonché la variabile grillina ha fatto impazzire il sistema. Nel Lazio si prepara la strada ad una candidatura a trazione 5 Stelle con il Pd locale lieto, in larga parte, di provare a vincere con uno schieramento comune. Solo che il Lazio e la Lombardia portano il dilemma della collocazione politica nazionale del partito che, a meno che non si voglia saggiamente tirare fuori la storia dei due forni craxiani e delle “dinamiche locali”, mette l’uno contro l’altro i sostenitori di una politica labour contro chi vede nella purezza della sinistra la vera strada.
Mancando una guida di sintesi autorevole, o almeno una vera coesione nel residuo gruppo dirigente delle singole correnti, l’operazione Moratti diventa la vera ciliegina sulla torta nuziale che Renzi e Calenda offrono ai tanti del Pd ora in sofferenza. I due sanno di avere tra le mani la carta vincente sia sul piano elettorale (il sindaco Sala potrebbe essere tentato dalla strada del civismo morattiano) sia sul piano politico. Dimostrano di avere visione e capacità di attrarre pezzi pregiati del centrodestra dopo la Carfagna e la Gelmini e di non essere due vagabondi nelle praterie di un immaginario centro, bensì due commilitoni nella battaglia per l’alternativa riformista alla Meloni. Una posizione che attira le attenzioni di chi nel Pd sente con disagio la subalternità politica a Conte, eletto da Massimo D’Alema vero erede delle forze progressiste, e sente con chiarezza la debolezza di un partito ormai imbolsito e stanco che pare possa vincere solo se gioca al traino di qualcuno. Di qui la tentazione della strada autonoma, del candidato proprio che alcuni nel Pd propongono, tipo Cottarelli. Solo che nessuno crede davvero che la Lombardia si possa neppure contendere in solitudine e lasciare questa occasione sarebbe un peccato che molti dirigenti del Pd nel Nord non vogliono perdere.
Amministrare la regione con il Pil più alto vuol dire aprirsi alla riscossa ed avere una strada aperta per le prossime tornate elettorali, significa dimostrare di avere la capacità politica di dialogare finalmente con il Nord del Paese. Tutti valori aggiunti che una vittoria nel Lazio non porterebbe. La tentazione di assaggiare la torta lombarda è perciò nel Pd è davvero tanta, anche temendo un’indigestione. Ma la golosità, si sa, è un vizio difficile a cui resistere.
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