Dal 16 marzo 1978, giorno del sequestro di Aldo Moro con la strage di Via Fani, l’Italia si interroga se le Brigate Rosse avessero agito da sole, manovrate, aiutate, sostenute: le dietrologie sono infinite (dall’URSS alla Cia, dal Mossad al terrorismo nero), i segreti altrettanti e le ‘sparate’ a mezzo stampa ancora ai nostri giorni non si concludono. Accade così che lo storico cronista di giudiziaria, Frank Cimini, sul Riformista prova a fare il “punto” di tutte queste dietrologie partendo dall’ultima, quella avanzata da Gennaro Acquaviva a Walter Veltroni sul Corriere della Sera.



L’ex capo della segreteria di Bettino Craxi all’epoca del sequestro Moro ha spiegato all’ex n.1 del Pd «Non so chi, non so come, ma sono certo che le Brigate Rosse sono state manovrate presentemente dal Kgb. L’infiltrazione sovietica nell’area della protesta violenta era evidente. Nel gruppo romano non lo so non credo, ma nelle Br in genere penso di sì. Bisognerebbe chiedere a Moretti». Mauro Moretti, brigatista responsabile della pianificazione ed esecuzione del rapimento di Aldo Moro, torna così alle cronache nazionali dopo i 6 ergastoli maturati dopo l’ammissione di essere stato l’assassino materiale dell’ex Presidente della Democrazia Cristiana.



BR MANOVRATE O “AUTONOME”?

Mario Moretti ha detto la verità o no al processo in merito all’assoluta autonomia delle scelte e delle lotte delle Brigate Rosse nei pieni anni di piombo? Su questo punto Cimini attacca le ricostruzioni fatte finora da tutti i presunti “retroscena misteriosi”: «un esponente del partito della trattativa insieme a un erede del partito della fermezza per ribadire quello di cui negli atti processuali non si trova traccia». Eppure era stato lo stesso Moretti nell’intervista a Rossana Rossanda a ribadire quanto già aveva sostenuto durante il processo del sequestro Moro: «Ah con molta serenità e molta tranquillità nel senso che io mi rendo conto che attraverso questa accusa si vuole colpire l’idea dell’autenticità delle Brigate Rosse. La tesi che siano state manovrate dall’esterno è una tesi cara a chi non può sopportare l’idea che in questo paese si siano svolti dei fatti, delle iniziative, si siano giocati dei progetti politici esterni ai giochi di palazzo. Queste illazioni non meritano alcuna considerazione». Eppure anche in questi giorni, nella ricorrenza dei 43 anni dalla strage di Via Fani, il figlio del capo della scorta di Moro – Domenico Ricci – all’Adnkronos ha intimato che Moretti dica una volta per tutte la verità. «Nel caso Moretti avesse intrallazzato con servizi segreti e potenze straniere non dormirebbe ancora dopo 40 anni in una cella del carcere di Opera. Il paese anche dopo così tanto tempo rifiuta di fare i conti con quello che fu un fenomeno squisitamente politico perché evidentemente ha paura della propria storia. Al punto da non voler prendere atto che Moretti condannato a sei ergastoli ha pagato per le sue responsabilità e dovrebbe dopo quarant’anni essere scarcerato» contrattacca Cimini, mettendo in luce un semplice fatto logico. Se le dietrologie fossero vere, Moretti avrebbe pieno diritto a chiedere la libertà condizionata ma questo non accade, secondo il cronista, perché «evidentemente relazionarsi con chi in pratica con la dietrologia gli nega identità politica. Sentirsi rivolgere sempre lo stesso sospetto per uno che sta dentro dal 1981 e’ se possibile peggio dei sei ergastoli che gli hanno dato i giudici».

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