Cosa ha scoperto di nuovo la seconda Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, presieduta dal presidente Fioroni e terminata nel dicembre 2017, per quanto riguarda la dinamica dell’assassinio dello statista? Come è stato ucciso Aldo Moro? Chi lo ha ucciso? Quando e dove è stato ucciso?
Caso Moro, la ricostruzione prima della Commissione Fioroni
La ricostruzione finora “accettata” dell’omicidio di Aldo Moro si basa soprattutto su due elementi: la perizia tecnico–balistica–merceologica realizzata tra il 1978 e il 1979, che recepisce anche le conclusioni della perizia medico–legale del 10 maggio 1978, e le dichiarazioni rese in sede giudiziaria, parlamentare e pubblicistica, soprattutto negli anni 90 (quindi dopo oltre dieci anni) dai brigatisti, in particolare da Germano Maccari – a cui si deve la ricostruzione più completa – e da Mario Moretti, che si è attribuito la responsabilità materiale dell’uccisione di Moro, ma sostanzialmente non ha fornito particolari sulle modalità in cui fu realizzata. Più specificamente la ricostruzione dell’omicidio Moro si è basata essenzialmente sulle dichiarazioni – contraddittorie in numerosi punti – che furono rese tra il 1993 e il 1996 in sede giudiziaria da Laura Braghetti e Germano Maccari, in un libro–intervista da Mario Moretti e in un libro, di molto successivo, di Gallinari edito nel 2006.
Sintetizzando molto, si può così riassumere la ricostruzione fornita dai brigatisti: Moretti e Maccari sarebbero stati gli unici a partecipare direttamente all’esecuzione (con la Braghetti che faceva da palo), mentre, a detta dei brigatisti, Gallinari – in realtà già condannato per l’omicidio Moro – sarebbe rimasto in casa – secondo quanto scritto da Moretti – perché era un ricercato noto. In proposito va rilevato che l’attribuzione dell’omicidio a Moretti, piuttosto che a Maccari o a Gallinari, non presenta alcuna forma di certezza, essendo legata alla testimonianza – talora non resa in sede giudiziaria – degli interessati che, per i motivi più vari, incluse forme di solidarietà personale, poterono indirizzarsi su una versione piuttosto che su un’altra.
Moro sarebbe stato trasferito dall’appartamento di via Montalcini al garage sottostante all’interno di una cesta. Sarebbe stato fatto poi rannicchiare nel portabagagli della Renault 4 e gli sarebbe stata coperta la testa con un lembo della coperta. Moretti avrebbe sparato dapprima con la pistola Walther, che però si sarebbe inceppata dopo uno o due colpi. Allora Maccari gli avrebbe passato la Skorpion con la quale furono sparati gli altri colpi. Quindi, avrebbe sparato solo Moretti.
Entrambe le armi sarebbero state silenziate e i colpi sarebbero stati esplosi da posizione ravvicinata o, in alcuni casi, a contatto. Le dichiarazioni dei brigatisti affermano che Moro sarebbe stato ucciso nella posizione in cui il suo corpo fu ritrovato. Anche una perizia del 1978–79 giunse alla medesima conclusione.
Le attività di indagine della Commissione hanno preso le mosse dalla sentenza di primo grado del Moro quinquies del 17 luglio 1996, l’ultimo in ordine di tempo dei processi penali istruiti dalla magistratura romana per il caso Moro. Questa rilevava, a proposito della verosimiglianza del trasporto di Moro nella cesta e dell’esecuzione, che “non si comprende come i brigatisti abbiano accettato un simile e gratuito rischio, quando avrebbero potuto facilmente evitarlo, ad esempio uccidendo l’on. Moro nella sua stessa prigione e trasportandolo poi da morto; ed incredibile sembra il fatto che si sia programmata l’esplosione di una serie di colpi, quanti risultano dalle perizie, in un box che si apriva nel garage comune agli abitanti dello stabile, essendo noto che anche i colpi delle armi silenziate producono rumori apprezzabili, che potevano essere facilmente percepiti da persone che si trovassero a passare, così come furono distintamente percepiti dalla Braghetti”.
Allo scopo di meglio chiarire la dinamica dell’omicidio, la Commissione ha delegato al Ris dei Carabinieri di Roma una serie di attività tecniche, che contengono diverse importanti novità e, soprattutto, colmano un vuoto di indagine, analizzando, con gli strumenti oggi a disposizione, la Renault 4 in cui fu ritrovato il corpo di Aldo Moro.
La ricostruzione dell’omicidio Moro secondo la relazione del Ris
Sulla base delle attività compiute dal Ris in relazione alla ricostruzione della dinamica del delitto, questa può essere così riassunta. L’ipotesi ritenuta più probabile è che in un primo momento la vittima sia stata colpita anteriormente al torace sinistro da almeno tre colpi sparati con la mitraglietta Skorpion. L’inclinazione di tali traiettorie è pressoché ortogonale alla superficie del corpo e la postura della vittima è, verosimilmente, con il busto eretto e seduta, come dimostrato dalle colature di sangue sulla maglietta intima unitamente alle proiezioni e colature di fluido biologico sui pantaloni. È probabile inoltre, che, in quel momento, la vittima sia stata ferita anche al pollice della mano sinistra, protesa in avanti in un istintivo gesto di autodifesa ed il medesimo proiettile abbia poi proseguito la sua traiettoria raggiungendo anteriormente il torace.
Tale fase iniziale della dinamica del delitto potrebbe esser avvenuta anche ipotizzando Aldo Moro seduto sul pianale del portabagagli della Renault 4, sopra la coperta, con il busto eretto e le spalle rivolte verso l’interno dell’abitacolo. Non si può tuttavia escludere che la vittima fosse seduta con il busto eretto in un qualsiasi altro ambiente (compreso il sedile posteriore dell’auto). Quest’ultima ipotesi giustificherebbe, da un punto di vista logico, anche il ritrovamento durante l’ispezione cadaverica del 1978 di quei fazzoletti di carta – mai più rinvenuti e oggi non presenti fra i reperti – inseriti tra la camicia ed il gilet. Infatti, essi potrebbero aver avuto lo scopo di tamponare le prime ferite al torace, durante il trasporto della vittima dal luogo dei primi colpi fin dentro il vano portabagagli.
In un successivo momento, la vittima deve aver assunto una posizione supina nel vano portabagagli, adagiata sulla coperta sottostante distesa sul pianale e con il capo verso la parte sinistra dell’auto. Ciò può esser accaduto, dopo i primi colpi pressoché ortogonali al torace sinistro, perché Aldo Moro si è naturalmente accasciato con il busto all’indietro e sul suo lato destro, in quanto era già seduto sul pianale del portabagagli come supposto sopra, ovvero, nell’ipotesi che i primi colpi siano avvenuti in un altro luogo, perché egli veniva trasportato nel portabagagli e adagiato supino sopra la coperta distesa sul pianale.
In entrambi i casi la postura supina sul pianale, assunta dalla vittima è tale da esporre la sinistra del torace anteriore a uno o più ipotetici sparatori collocati all’esterno della Renault 4, nella sua parte posteriore (ovviamente il portellone del portabagagli deve essere aperto). In tale quadro è verosimile che siano stati esplosi, con direzione da destra verso sinistra del portabagagli (visto da dietro) e con inclinazione dall’alto verso il basso, i rimanenti colpi d’arma da fuoco, tra cui quello calibro 9mm corto sparato dalla pistola semiautomatica Walther.
Al riguardo va ricordato che gli accertamenti balistici comparativi non hanno consentito di accertare se i proiettili calibro 7,65mm in reperto siano stati sparati con o senza il silenziatore montato sulla Skorpion (e nemmeno si può escludere che un altro silenziatore fosse inserito sulla Walther, al momento in cui tale pistola ha sparato il proiettile calibro 9mm corto). In ogni caso l’abbondanza di residui dello sparo sugli indumenti di Aldo Moro indica un’estrema vicinanza della vittima all’arma o alle armi durante l’azione di fuoco.
Inoltre, impugnando la Skorpion in modo tale da orientare la bocchetta di espulsione verso destra con un angolo di 45°, è stato sperimentato che i bossoli esplosi vengono espulsi con una traiettoria parabolica di oltre 4 metri e ciò potrebbe giustificare il ritrovamento di almeno cinque di essi nella parte anteriore dell’abitacolo dell’auto.
Al termine dell’azione delittuosa è immaginabile che la vittima sia stata sistemata a forza nel vano portabagagli con le gambe flesse all’indietro e anche facendole compiere una rotazione antioraria del busto.
Si ritiene meno probabile l’ipotesi alternativa secondo la quale, in un primo momento, la vittima è stata colpita anteriormente al torace mentre era seduta all’interno della Renault 4, mentre lo sparatore plausibilmente occupava la posizione del passeggero anteriore. Tale ipotesi potrebbe essere supportata dal ritrovamento di cinque bossoli calibro 32 Auto nella parte anteriore dell’abitacolo che sarebbero stati esplosi ed espulsi dalla mitraglietta Skorpion usata da dentro l’autovettura. In tale quadro deve supporsi un successivo trasferimento di Aldo Moro nel vano portabagagli, per poi esser disteso all’incirca supino sul pianale con parte della coperta sotto il corpo e con il capo verso la sinistra del portabagagli.
Un breve inciso, per completezza di informazione: questa ipotesi alternativa è stata presentata in modo approfondito da una ricostruzione indipendente, effettuata dai periti Bordin e Bellocco nel marzo 2016, e presentata da Paolo Cucchiarelli nel libro Morte di un Presidente (Ponte alle Grazie, 2016).
A questo punto l’azione criminosa sarebbe proseguita come detto nella precedente ipotesi.
Riassumendo la ricostruzione principale da parte del Ris: Moro è seduto su una sedia vicino alla Renault 4 o sul pianale del portabagagli, guarda negli occhi chi gli spara. Il fuoco parte con tre colpi di Skorpion 7,65. La vittima si accascia, viene spostata, sistemata nel portabagagli ed è lì che vengono esplosi gli altri nove colpi, tra i quali, per ultimo, probabilmente, quello della pistola calibro 9. In tutto, perciò, dodici colpi, e non undici come dichiarato dai brigatisti. Chi ha compiuto un omicidio così crudele non può non ricordarlo con precisione. Chi ha sparato non può dimenticare.
È quindi ragionevole supporre che l’identità vera dell’assassino ancora non si conosca e non coincida con le confessioni rese dai brigatisti.
(1 – continua)
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