Le nuove indagini parlamentari della Commissione Moro 2 hanno portato nuova luce su come si sia arrivati all’arresto di Morucci e Faranda nella casa di Giuliana Conforto, il 29 maggio 1979. Per la prima volta, è emerso che la Polizia era arrivata a questo rifugio attraverso delle indagini su un autosalone della zona portuense, la AutoCia srl.
In questo autosalone, la Faranda aveva acquistato due auto fra il 1976 ed il 1977. Inoltre, è risultato un coinvolgimento dei gestori della società AutoCia in attività di contraffazione di documenti nel settore delle autovetture, che sono state svolte anche per le Brigate rosse, oltre che per la criminalità organizzata; è emersa anche la frequentazione di Morucci con uno dei titolari della società, fin da quando erano bambini. Quindi, sulla base delle confidenze rilasciate da uno dei soci gestori della concessionaria AutoCia srl ad un sottufficiale della Squadra mobile di polizia di Roma, si arriva all’individuazione del covo di viale Giulio Cesare.
Ma quando il sottufficiale riporta le sue scoperte in Questura, ci si rende conto che questo appartamento è già “attenzionato” da tempo dalla Digos, la polizia politica di quel periodo.
In proposito, è nota già dalla Commissione Stragi un’informativa della Digos per la Procura di Roma del 30 maggio 1979, firmata da Ansoino Andreassi, che fa riferimento a “notizie riservatissime” che avrebbero consentito di scoprire il covo di viale Giulio Cesare. Lo stesso documento sottolineava che, sin dal sequestro Moro, era maturata negli investigatori la convinzione che esistesse un covo brigatista in zona Prati e che “su tali basi, venivano pertanto attivate le fonti informative e, contestualmente, si procedeva ad un accurato vaglio di quelle persone, abitanti in quella zona, che per essere già note a questa Digos come appartenenti a formazioni dell’ultrasinistra, potevano fornire appoggio e ospitalità ai brigatisti rossi”.
Così il 29 maggio 1979, nel covo di viale Giulio Cesare l’irruzione della Polizia non porta ad un vero e proprio arresto, ma quasi ad una “autoconsegna” (come, in qualche conferenza, l’ha definita il presidente Fioroni).
Uno dei sottufficiali che procedettero all’arresto dei due brigatisti, il 9 agosto 2016 ha affermato di ricordare che “nel complesso è stata una cosa molto veloce, sembrava quasi che i due si stessero costituendo, tanto sembrava che ci fossimo dati appuntamento… questa frase l’ho detta sulla base di una mera sensazione avuta al momento, che ben ricordo”. Nel corso dell’audizione dell’11 luglio 2017, la stessa Adriana Faranda ha ricordato che, al momento dell’arresto, ci fu un qualche contrasto tra un poliziotto e un altro su dove portarla e che “uno non voleva portarmi in Questura”. Quindi si può affermare che la coincidenza della soffiata dell’AutoCia portò a galla l’esistenza di una trattativa in corso per una resa controllata.
Morucci e Faranda erano ospitati da Giuliana Conforto, personaggio non certo ignoto alle forze di Polizia: informative al suo riguardo datano almeno al novembre 1968. La terza relazione della Commissione Moro 2 si sofferma su Giuliana Conforto usando queste parole: “Il profilo ideologico della Conforto appare in effetti alquanto sfuggente e riconducibile a una generica area di sinistra extraparlamentare, caratterizzata da un ateismo militante – peraltro praticato anche dal padre – e vicina ai movimenti guerriglieri dell’America Latina. Proprio questa attenzione all’America Latina rende ragione del rapporto con il giornalista di Repubblica Saverio Tutino, già in rapporti con Giangiacomo Feltrinelli e attivo promotore in Italia della rivoluzione cubana e delle teorie rivoluzionarie dell’America del Sud. La presenza di Tutino in casa Conforto suscita ulteriori perplessità, che tuttavia non possono essere approfondite, essendo Tutino deceduto”. Le perplessità nascono dal fatto che Saverio Tutino dichiarerà di aver incontrato Morucci e Faranda in casa di Giuliana senza averli mai riconosciuti: dichiarazione difficile da credere, considerando che il giornalista era molto introdotto negli ambienti della sinistra radicale.
Ancora più significativa risulta la vicenda di Giorgio Conforto, il padre di Giuliana, assurto alle cronache come il più importante agente del Kgb in Italia dopo la pubblicazione del dossier Mitrokhin, alla fine degli anni 90. Va sottolineato che ben prima che, con la scoperta del dossier Mitrokhin, divenisse di pubblico dominio il ruolo di Giorgio Conforto come agente del Kgb, questo era ampiamente noto, non solo ai Servizi, ma anche alla Polizia e, per loro tramite, all’Autorità giudiziaria.
Andreassi ha confermato che alla Digos pervennero appunti del Sismi che qualificavano Giorgio Conforto come agente del Kgb e che essi “non furono trasmessi ufficialmente all’autorità giudiziaria, ma l’autorità giudiziaria fu portata a conoscenza del contenuto degli appunti”. Questa comunicazione delle note Sismi all’Autorità giudiziaria appare un punto estremamente controverso. Eppure circa un mese dopo l’arresto, si trova una nota su Conforto, tempestivamente inviata dal Sismi al Sisde e poi da questo al capo della Polizia e al segretario generale del Cesis (Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza) l’8 giugno 1979, nella quale si fornivano elementi su Giuliana e Giorgio Conforto, ipotizzando che quest’ultimo “bruciato come agente informatore sovietico, sia rimasto, nel dopoguerra, fiduciario del Kgb, il quale potrebbe averlo manovrato non più nel campo spionistico tradizionale, ma [potrebbe] avvalersene come ‘agente d’influenza’ nel settore politico con compiti di: infiltrazione negli ambienti diplomatici dei Paesi satelliti ed allineati; penetrazione nei movimenti extraparlamentari di estrema sinistra, per la raccolta di umori, commenti e propensioni; influenza e penetrazione nell’ambito del partito in cui milita (il Partito socialista)”.
Pur non essendo particolarmente aggiornata, questa nota formulava delle ipotesi abbastanza precise ed è ipotizzabile che sia stata la fonte delle notizie che Andreassi riferì all’Autorità giudiziaria. Occorre però individuare le motivazioni che indussero i soggetti competenti a non approfondire minimamente il tema di un possibile nesso tra Giorgio Conforto e la vicenda brigatista. Nulla, infatti, risulta né da atti di polizia né da atti giudiziari, se non una testimonianza resa da Giorgio Conforto al giudice Francesco Amato, il 5 luglio 1979, nella quale Conforto si limitò a rievocare un saltuario incontro con Morucci e Faranda a casa di Giuliana.
Il nesso tra i Conforto e Morucci/Faranda riemerse dunque inopinatamente solo quando, per una casualità storica, fu diffuso il cosiddetto Dossier Mitrokhin. Importante, sotto questo punto di vista, fu l’audizione di Francesco Cossiga alla Commissione Mitrokhin il 1° marzo 2004, nella quale Cossiga indicò in Giorgio Conforto la fonte che denunciò la presenza dei due brigatisti in casa della figlia al capo della squadra mobile Masone. A quella data, peraltro, Masone e Conforto erano morti e nessuno poté confermare né smentire: la tesi esposta da Cossiga era così priva di riscontri.
Tuttavia, l’indicazione che la cattura di Morucci e Faranda potesse avere a che fare con un ruolo attivo di Conforto presenta una certa verosimiglianza alla luce di tre elementi: il trattamento di favore riservato a Giuliana Conforto (che fu assolta in tempi rapidi dalle gravissime imputazioni che le erano state inizialmente contestate: venne condannata a sei mesi per favoreggiamento, che le furono presto prescritti. Ricordiamo che in viale Giulio Cesare, oltre alla cattura dei due brigatisti, vennero trovate molte armi, fra cui la mitraglietta usata per uccidere Moro); l’iter anomalo delle informazioni relative a Giorgio Conforto, trasmesse oralmente dal Sismi alla Polizia e da queste all’Autorità giudiziaria e rimaste senza alcun seguito; le modalità dell’arresto. Tali tematiche sono state riprese nell’ultima audizione di Ansoino Andreassi presso la Commissione (21 gennaio 2016), nella quale si è avviato un riesame complessivo della vicenda.
Da tale audizione si evince che, alla metà di giugno 1979, oltre al Sismi, l’Ucigos e il giudice Gallucci erano pienamente consapevoli del ruolo di Conforto, ma non ritennero utile approfondire minimamente il suo ruolo. La Commissione Moro 2 nella sua relazione finale afferma che “allo stato non è possibile affermare in maniera certa se dietro a questa omissione ci fu trascuratezza o un preciso ragionamento politico-giudiziario. Alla luce delle tarde affermazioni di Cossiga si può tuttavia ipotizzare un ruolo di Conforto nell’individuazione di Morucci e Faranda. Se questo vi fu, esso non dovette però svolgersi a vantaggio del Pci e dell’Urss, ma piuttosto nell’ambito di una filiera interna agli apparati italiani, data la natura assai ambigua dell’agente Giorgio Conforto, ampiamente noto e, per ciò stesso, manipolabile. Vi è da aggiungere che, per tutelare la figlia dall’accusa di essere complice dei brigatisti, Giorgio Conforto scelse l’avvocato Alfonso Cascone, già difensore di Enrico Triaca, titolare della tipografia brigatista di via Foà. Cascone, militante a lungo in formazioni della sinistra extraparlamentare, e per questo più volte segnalato presso gli organismi informativi e di polizia, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, era indicato come fonte confidenziale dell’ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno, diretto da Federico Umberto D’Amato. Cascone, dunque, apparterrebbe alla stessa filiera informativa di Conforto e ne condivide molti tratti caratteristici, primo fra tutti l’appartenenza a un’area extraparlamentare di sinistra non comunista che si rivelò particolarmente permeabile a influenze esterne”.
Per spiegare la “natura assai ambigua” dell’agente Conforto, basti ricordare che egli era noto all’Ovra (la polizia segreta del regime fascista) sin dal 1933 e nel 1941, quando lavorava all’ufficio informazioni segrete del ministero degli Affari esteri, comunicò a Guido Leto, capo della polizia politica, di aver preso riservati contatti con esuli russi. Inoltre, già nel 1946, il presunto ruolo di spia sovietica di Giorgio Conforto era noto a Federico Umberto D’Amato, divenuto negli anni successivi il responsabile dell’Ufficio Affari Riservati, senza che Conforto subisse alcun tipo di conseguenza. Infine, lo stesso Giorgio Conforto non risulta intestatario di un fascicolo al Casellario politico centrale, utilizzato, fino al 1968, quale strumento di monitoraggio dei soggetti considerati eversivi. Il fatto testimonia di un’assoluta particolarità del personaggio e induce a ritenere che il ruolo spionistico di Conforto in favore dell’Urss fosse quanto meno bilanciato da una sua funzione di confidente o fonte delle strutture di polizia italiane.
Tale natura “doppia” è stata peraltro affermata – in termini generici – dal generale Antonio Federico Cornacchia nell’audizione presso la Commissione del 3 novembre 2016, durante la quale il generale ha fatto riferimento, oltre ad antichi rapporti di Conforto con l’Ovra, a suoi rapporti tanto con la Cia che con il Kgb.
In conclusione, la latitanza di Morucci e Faranda in casa Conforto e l’arresto del 29 maggio evidenziano numerosi elementi che sembrano ricondurre all’azione di persone, indipendenti dalla Squadra mobile, che erano a conoscenza del rifugio e cercarono di gestire l’operazione, venendo in qualche modo superati dall’attivazione della “soffiata” della AutoCia.
È possibile che proprio questi elementi – che si trattasse di Conforto o di altri – abbiano posto le basi di una trattativa che in quella fase non poté realizzarsi, finalizzata a ottenere la consegna di Morucci e Faranda e a sfruttarne le posizioni fortemente critiche nei confronti delle Brigate rosse. Quella trattativa riprese negli anni successivi e si sviluppò per tutti gli anni 80: in tal modo venne a definirsi un “perimetro” delle verità accettabili sul caso Moro, che ha eliminato dalla scena molti punti problematici. Proprio questi invece sono stati ripresi dal lavoro della Commissione Moro 2, che in parte li ha risolti e in parte li ha almeno, di nuovo, messi in luce.
(2 – fine)
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