Non si chiuderà mai la vicenda del rapimento e assassinio di Aldo Moro, continuamente “infarcita” di rivelazioni inedite e dietrologia”. Di fatto, una parola finale su quella vicenda che sconvolse l’Italia non è mai stata detta, ed  proprio questo che alimenta le ipotesi. Ultima in questo senso, in una intervista rilasciata al Corriere della Sera, la vedova dell’ex Presidente della Repubblica Giovanni Leone, la signora Vittoria Michitto, che ha rilasciato parole molto dure e inquietanti. Del marito, la vedova dice che “fu l’unico democristiano che Moro non abbia maledetto nelle sue lettere” e che “fece disperatamente di tutto per farlo liberare, ma avemmo la sensazione che fosse un destino segnato”. Abbiamo chiesto al docente di Storia contemporanea presso l’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, sociologo e politologo, Agostino Giovagnoli un commento su queste dichiarazioni: “Come dice lei, rispetto al caso Moro c’è sempre un aspetto di dietrologia e di ipotesi di complotto e le parole della signora Michitto portano altra legna al fuoco. Per quanto riguarda la volontà di Giovanni Leone di firmare la grazia nei confronti della terrorista Paola Besuschio come gesto di apertura nei confronti dei rapitori, non si tratta di una novità, è una cosa che si è detta molte volte, anche se Leone per farlo avrebbe dovuto avere la richiesta del ministro di grazia e giustizia perché allora la concessione di grazia era a doppia firma, cosa che non è mai arrivata”. La vedova Leone parla anche di una lettera anonima a lei indirizzata che svelava il covo dei brigatisti, che lei consegnò al ministero dell’interno senza ricevere risposta e che poi risultò andata perduta: “La storia della lettera anonima lascia sorpresi. Nell’intervista la signora Leone non precisa il contenuto, dice che indicava il covo dove era tenuto Moro ma non specifica se questa lettera indicasse con precisione il posto. Tutto sta a capire cosa c’era scritto. Dice anche che la lettera andò perduta, ma viene da chiedersi: possibile che non abbia tenuto una copia? E perché ne parla solo adesso? Qualche dubbio, anche se non ho motivo di credere che non sia arrivata una lettera, c’è, anche perché in quel periodo di lettere anonime ne giravano tante di cui molte senza sostanza”. Come sappiamo, poco dopo Giovanni Leone sarebbe stato sconvolto in uno scandalo che gli costò le dimissioni. La vedova dice che DC e PCI stavano spingendo per un ricambio, “una ripartenza scioccante” e che la campagna denigratoria del Gruppo Espresso e dei radicali “fu palesemente una orchestrazione per colpire il cuore dello Stato”.



CAPRO ESPIATORIO DI DC E PCI

È così?  “Certamente se lui avesse firmato la grazia questo avrebbe implicato il consenso di altri perché da solo non poteva. La grazia era anche impedita perché era in corso un processo e la grazia si concede solo quando c’è già stata una condanna. Sicuramente un gesto di clemenza nei confronti di un brigatista avrebbe avuto un impatto su tutta la vicenda. Quale impatto, non possiamo dirlo”. Giovanni Leone fu capro espiatorio di tutto quanto? “In un certo senso c’è del vero perché dopo la vicenda di Moro il Pci era molto preoccupato, ci fu un test elettorale piuttosto sfavorevole per esso, si voleva un ricambio che desse il senso di una discontinuità. Questo ruolo è stato svolto anche però con la campagna diffamatoria che fecero i radicali nei confronti di Leone”. Oggi della figura di Giovanni Leone cosa rimane, sembra sia stata rimossa o no? “Rimane una figura che va apprezzata, la rimozione è sbagliata, la sua figura è quella di un servitore dello Stato. Gli va anche riconosciuto di aver svolto ruoli scomodi come presiedere i cosiddetti governi balneari e che non ha svolto una politica in proprio, non ha guidato correnti politiche,  diversamente da uomini politici del suo tempo. Resta una figura apprezzabile e rispettabile così come è indiscutibile la sua grande competenza giuridica”.

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