Nel primo articolo abbiamo visto come la perizia della polizia sulla dinamica della strage di via Fani abbia fornito alcune significative novità rispetto alla narrazione dei fatti ormai consolidata. La Commissione Moro 2 ha approfondito le indagini su via Fani, cercando di rispondere anche alle seguenti domande: Quanti brigatisti parteciparono all’agguato? Perché era stato scelto quel luogo per organizzare l’agguato? Chi è stato in grado di fornire la capacità militare dimostrata?



Quanti erano i terroristi?

Il 20 luglio 2016, un ricercatore italiano negli archivi della Stasi – il ministero per la Sicurezza della Germania Est, ovvero il servizio segreto dell’allora DDR – Gianluca Falanga, presenta alla Commissione Moro 2 un interessante documento da lui trovato a Berlino. Composto di quattro fogli, con allegato un disegno della dinamica dell’agguato di via Fani, l’appunto contiene l’esposizione riepilogativa del sequestro di Aldo Moro comparato con il sequestro del capo della Confindustria tedesca Hanns-Martin Schleyer, a opera della Raf (Rote Armee Fraktion, gruppo terroristico tedesco operante in Germania Ovest e nei fatti controllato dalla Stasi) nell’autunno 1977. L’appunto era stato redatto l’8 giugno 1978 (un mese dopo il ritrovamento del corpo dello statista in via Caetani). Fra le osservazioni più interessanti, quella secondo cui “stando alle informazioni a disposizione degli organi di Polizia e di sicurezza italiani, almeno quaranta persone hanno contribuito alla preparazione e all’esecuzione dell’agguato” mentre “alcuni degli attentatori si sono trattenuti, prima di entrare in azione, in un bar che dà sull’incrocio”: il bar di proprietà di Tullio Olivetti, all’epoca, stava proprio all’incrocio tra via Stresa e via Fani.



Quindi, 40 terroristi coinvolti fra parte logistica e di supporto e parte propriamente esecutiva. Numero del resto molto ragionevole, se si pensa che per esempio, per il sequestro del giudice Sossi, a Genova, qualche anno prima, sono coinvolti 17 brigatisti.

Di quelli presenti in via Fani, noi ad oggi, ne conosciamo 10 (già menzionati nell’articolo precedente; occorre poi ricordare gli altri quattro brigatisti noti, che hanno svolto attività di supporto al sequestro e alla prigionia di Aldo Moro: Raimondo Etro, custode delle armi, Adriana Faranda, la postina dei comunicati delle Br, Anna Laura Braghetti e Gennaro Maccari, gli inquilini del covo di via Montalcini). Le risultanze della Commissione parlamentare arrivano ad ipotizzare che sul luogo dell’agguato ci siano circa 20 terroristi. Ulteriore tassello: la Commissione raccoglie testimonianze nuove che confermano la presenza di due moto Honda; ad oggi, a livello giudiziario, era stato stabilito che fosse presente una sola moto Honda. Una testimone descrive anche alcune caratteristiche del passeggero della moto Honda che parte al seguito delle auto che portano via il presidente Moro, in particolare una pettinatura a chignon, da cui deduce che possa essere una donna, e sente urlare “Acthung, acthung”.



Uno “strano” bar: il Bar Olivetti

Per la prima volta, con la Commissione Moro 2, si scopre un altro aspetto inquietante e fino ad oggi, mai indagato: il bar Olivetti, proprio di fronte al luogo dell’agguato, ha fatto da supporto all’azione terroristica (come già si evince dal documento della Stasi, prima citato).

Si è scoperto che il bar Olivetti era al centro di un importante traffico di armi, di dimensioni internazionali: dietro quello strano caffè, si è svolto un via vai di armi vendute alla malavita romana, alla Banda della Magliana, alla ‘ndrangheta calabrese del clan De Stefano, ai palestinesi dell’Olp, ai terroristi tedeschi della Raf. Personaggi di grosso calibro della mafia come Frank Coppola, detto “Tre dita”, sono in contatto con questo ambiente.

Questo bar è gestito dalla società Olivetti Spa, nel cui consiglio di amministrazione ci sono Tullio Olivetti, Maria Cecilia Gronchi, figlia dell’ex presidente della Repubblica ed il marito di quest’ultima Gianni Cigna, come presidente. È molto probabile che questi nomi permettessero a Tullio Olivetti di avere una copertura di onorabilità, usando strumentalmente l’ingenuità di queste persone.

La società dichiara fallimento a luglio 1977 e sposta le proprie attività in un’altra zona di Roma, molto meno remunerativa. La Commissione recupera una nota del Sismi del maggio 1978, che ipotizza si tratti di un fallimento di comodo.

È perciò ragionevole pensare che il bar abbia dato ospitalità ai terroristi pronti ad entrare in azione, con le loro armi difficilmente mimetizzabili. Inoltre, a bar normalmente aperto, l’agguato sarebbe stato ostacolato dalle auto dei clienti, parcheggiate spesso in doppia fila e la preparazione dell’azione sarebbe stata notata dagli avventori.

Il bar continuava comunque ad essere aperto a marzo 1978 – testimonianza dell’attore Francesco Pannofino, nel marzo 1978, giovane universitario abitante in quella zona – pur risultando fallito. Quel 16 marzo era però chiuso al pubblico, perché era giovedì ed aveva il turno di chiusura. Infine, la Commissione ha trovato nuovi testimoni che dichiarano di esser potuti entrati nel bar poco dopo l’eccidio per telefonare.

La Commissione ha scoperto che Tullio Olivetti ha goduto negli anni di una inspiegabile impunità per i traffici di armi in cui era coinvolto e che addirittura sarà presente a Bologna nei giorni precedenti la strage alla stazione del 2 agosto, ma sarà l’unico soggetto a non essere né ricercato né interrogato.

Ipotesi di coinvolgimento della Raf

L’ipotesi di un coinvolgimento della Raf, i terroristi tedeschi, è stata avanzata già dalle prime indagini, anche a causa dell’identità di matrice ideologica della formazione terroristica tedesca con le Brigate rosse italiane (è il primo gruppo straniero con cui le Br stabiliscono un legame) e delle rilevanti analogie operative con il sequestro di Hanns-Martin Schleyer, presidente della confederazione tedesca degli industriali, avvenuto a Colonia il 5 settembre 1977 (per esempio, lo schema dei due “cancelletti”, uno a monte ed uno a valle dell’agguato, schema usato anche in quel sequestro). Di seguito, elenchiamo gli indizi più importanti emersi in questi anni e quelli raccolti dalla Commissione Moro 2, rispetto a questa fondata ipotesi.

1) Il 21 marzo 1978, cioè cinque giorni dopo il sequestro, il quindicenne Roberto Lauricella vide un pulmino Hanomag-Henschel giallo con tetto bianco con targa tedesca e una Mercedes (color caffellatte) a Viterbo risalire la penisola verso il Nord. A bordo, in tutto sette persone: due nel pulmino, quattro uomini ed una donna nell’auto, di cui una armata. Il ragazzo riferì la targa del primo veicolo (PAN-Y 521) e una parte della targa del secondo. A seguito dell’attivazione di indagini tramite Interpol in merito alla targa, si era così scoperto che la targa esisteva ed il proprietario dell’auto, Norman Ehehalt, era segnalato come persona da sorvegliare, in considerazione di suoi contatti con un gruppo criminale. In base a successivi accertamenti dell’Interpol e della polizia tedesca, si è anche accertato che due persone, un uomo e una donna, che avevano avuto a che fare con quel pulmino, erano membri della Raf. Il giovane Lauricella depose come teste già nel 1983 al primo processo Moro.

La Commissione ha sentito di nuovo Roberto Lauricella, attualmente maresciallo dei Carabinieri. Va tenuto presente che il 18 maggio 1978 la polizia tedesca rinvenne, nel corso di una perquisizione in una tipografia a Hebertsfelden (località in cui era domiciliato Ehehalt) la targa PAN-Y 521 leggermente bruciata e piegata e priva del timbro dell’autorità emittente; in quell’occasione Ehehalt rifiutò di rispondere a domande sulle targhe e sul veicolo (che non fu trovato).

2) Il 4 maggio 1979, a Norimberga, fu uccisa durante un conflitto a fuoco con la polizia una nota terrorista della Raf, Elisabeth von Dyck, che aveva una carta d’identità e una patente italiane. Il modulo di tale carta d’identità faceva parte di uno stock di moduli in bianco rubati nel 1972 a Sala Comacina (Como); due moduli provenienti dallo stesso furto furono rinvenuti nel covo di via Gradoli.

3) In un appunto riservato dell’Arma dei carabinieri del 28 aprile 1978, si riportava la notizia che il 15 novembre 1977 Gallinari si era incontrato con un pregiudicato in un bar in via Appia Nuova, in compagnia “di un giovane tedesco i cui connotati fanno presumere possa trattarsi del terrorista tedesco Sigmund Hoppe”. Gallinari avrebbe proposto al pregiudicato “di partecipare a un eclatante sequestro di persona a sfondo politico”, ma il suo interlocutore avrebbe declinato l’offerta ritenendola non sufficientemente vantaggiosa dal punto di vista economico.

4) La Commissione Moro 2 ha raccolto diverse testimonianze in cui all’esterno e all’interno del bar Olivetti, la mattina dell’eccidio, sono state viste persone con tratti somatici nordeuropei, in genere silenziose, ma che hanno detto alcune parole in tedesco. Eleonora Guglielmo, che abitava in via Fani, ha confermato quanto all’epoca riferito ai giornali, in particolare di avere udito, la mattina del 16 marzo 1978, nella fase finale dell’azione dei brigatisti, le parole “achtung, achtung”.

5) Testimonianze recenti raccolte dalla Commissione hanno messo in evidenza la presenza di un uomo e una donna, nel covo di via Gradoli, che non parlavano italiano, evitavano gli incontri con gli altri inquilini, rientravano in quello stabile in moto e sempre con il casco integrale calzato.

6) Vito Messana ha riferito che, secondo quanto a lui detto da sua moglie Johanna Gabriele Hartwig – e poi confermato da brigatisti da lui conosciuti in carcere – nei primi mesi del 1976 a Milano si incontrarono i vertici delle Br e quelli della Raf; Inge Kitzler, moglie del brigatista Andrea Coi, fece da interprete, sebbene in modo così maldestro da pregiudicare l’esito dell’incontro.

Purtroppo la pista della Raf, a suo tempo, non venne battuta in modo adeguato. Il dottor Ansoino Andreassi, funzionario di Polizia che seguì le indagini sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro a partire dal giugno 1978 e che si recò in Germania per contatti con gli investigatori tedeschi, ha dichiarato alla Commissione: “All’epoca subivamo una grande pressione mediatica e cercavamo di concentrarci sui filoni investigativi che ci apparivano più proficui. Il filone tedesco […] non appariva come un filone utile per ottenere risultati processuali immediati”.

(2 – continua) 

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