Nei precedenti articoli abbiamo presentato le principali novità emerse dai lavori della Commissione Moro 2, che rimette in discussione, in diverse parti, la narrazione corrente sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, tuttora fortemente indirizzata dal Memoriale Morucci, elaborato negli anni Ottanta fra Morucci, alcuni brigatisti e apparati dei servizi segreti dello Stato. Ci siamo soffermati soltanto sull’agguato di via Fani. In questo articolo presentiamo cosa la Commissione Moro ha scoperto relativamente alla fuga delle tre auto dal luogo dell’eccidio verso la prima prigione di Moro.



Uno degli elementi di maggiore criticità che emergono nel Memoriale Morucci è proprio la ricostruzione dell’abbandono delle auto usate per fuggire da via Fani, portando via il sequestrato. Queste tre auto furono ritrovate in momenti diversi in via Licinio Calvo.

In particolare, sulla base dei verbali e delle testimonianze raccolte a suo tempo e presenti agli atti della prima Commissione Moro, risulta che l’autovettura Fiat 132 di colore blu dovette essere parcheggiata tra le 9.15 e le 9.23; l’autovettura Fiat 128 di colore bianco, fu reperita il 17 marzo 1978, alle 4.10, all’altezza del civico 23 di via Licinio Calvo, sul lato destro della strada; l’autovettura Fiat 128 di colore blu, fu reperita il 19 marzo 1978, alle 21, tra i civici 25 e 27 di via Licinio Calvo, sul lato destro della strada.



Nella versione brigatista condensata nel Memoriale Morucci si afferma invece: “Tutte e tre le auto sono state parcheggiate in via Licinio Calvo la stessa mattina del 16 marzo, nello spazio di tempo di circa venti minuti dopo l’azione di via Fani. La 132 è stata parcheggiata da Fiore subito dopo che era stato effettuato il trasbordo di Moro sul furgone 850 in piazza Madonna del Cenacolo”. Tale asserzione risulta veramente problematica, considerando le intense ricerche che venivano condotte nell’area, specialmente dopo il reperimento della prima auto, ed è anche in contraddizione con numerose testimonianze di cittadini della zona.



Tale punto di snodo tra la prima fase della fuga da via Fani e il definitivo allontanamento dalla scena del crimine presenta numerosi elementi di illogicità. Di qui l’ipotesi che il passaggio delle auto utilizzate in via Fani da via Casale De Bustis sia servito in realtà a depositarle nella zona – eventualmente anche con il rapito – per poi gestirne il rilascio progressivo. Ciò pone ovviamente il tema dell’identificazione dell’edificio che potrebbe essere stato utilizzato per tale operazione.

Gli accertamenti della Commissione si sono indirizzati sui condomini di Via Massimi 91. Le palazzine in questione appartenevano all’Istituto per le opere di religione (Ior). Non era territorio extraterritoriale, ma certamente la proprietà suscitava un inevitabile senso di rispettabilità. Amministratore unico della società costruttrice era Luigi Mennini, padre di don Antonello Mennini, che, come noto, ebbe un ruolo importante nella vicenda Moro.  Monsignor Antonello Mennini, oggi nunzio apostolico in Gran Bretagna, ha risposto alle domande della Commissione Moro 2. Nell’interrogatorio, il prelato ha esplicitamente ipotizzato che la scelta di Moro di indicarlo ai brigatisti come possibile tramite abbia avuto il significato di segnalare all’esterno che il luogo della prigionia fosse vicino alla sua parrocchia. Probabilmente però, il “suggerimento” di Moro non era solo alla parrocchia di don Mennini, quanto alla sua famiglia.

Queste palazzine ospitavano alcuni cardinali e prelati, come il cardinale Egidio Vagnozzi, già delegato apostolico negli Stati Uniti, il cardinale Alfredo Ottaviani e lo stesso monsignor Paul Marcinkus, capo dello Ior. Alcune testimonianze indicano che il cardinal Egidio Vagnozzi era frequentato dall’onorevole Moro; quindi Moro probabilmente conosceva quel complesso abitativo.

All’interno del complesso si riscontrano tuttavia anche presenze di altro genere, veramente eterogenee e molto particolari.

In quelle palazzine abitava la giornalista tedesca Birgit Kraatz, corrispondente in Italia dei periodici tedeschi Der Spiegel e Stern, a quel tempo legata sentimentalmente a Franco Piperno, leader di Autonomia operaia.

Oltre ad una serie di personaggi legati alla finanza e a traffici tra Italia, Libia e Medio Oriente va sottolineata la presenza di una società statunitense, la Tumpane company con attività “servizi vari”, sede legale negli Stati Uniti d’America e domicilio fiscale in Via Massimi 91 a Roma. La Tumpane si identificava con la Tumco, compagnia americana che nel 1969 forniva assistenza alla presenza Nato e statunitense in Turchia. È stato possibile accertare da parte della Commissione che la Tumco svolgeva attività di intelligence a beneficio di un organo informativo militare statunitense la cui sede era in Via Veneto a Roma, gergalmente noto come “The Annexe”.

Tra le altre presenze significative nel complesso c’è poi quella di Omar Yahia (1931-2003), finanziere libico, legato all’intelligence libica e statunitense, e in rapporti con gli occupanti di un appartamento del civico 96 di Via Massimi. Yahia collaborò lungamente con i Servizi italiani.

Le indagini compiute dalla Commissione Moro 2 hanno consentito di identificare due persone, allora conviventi in via Massimi 91, che hanno riconosciuto di aver ospitato, per diverse settimane, nell’autunno 1978 (quindi pochi mesi dopo il ritrovamento della Renault 4 rossa in via Caetani), Prospero Gallinari in un’abitazione sita nel complesso.

Le due persone partecipavano, in vario modo, alla mobilitazione che caratterizzò molti ambienti della sinistra extraparlamentare nel periodo del sequestro Moro. In particolare, è risultato che la donna, con trascorsi nel femminismo militante e attiva nel collettivo di via del Governo Vecchio, strinse una relazione piuttosto stretta con una brigatista della colonna romana, Norma Andriani, e forse col compagno di quest’ultima, Carlo Brogi, mentre l’uomo, anche se appartenente alle Forze armate, frequentava ambienti extraparlamentari. Questo rapporto indusse la Andriani a proporre di ospitare un compagno, che – secondo quanto dichiarato dagli interessati – solo successivamente i due identificarono in Prospero Gallinari (da poco gli uomini del generale Dalla Chiesa avevano scoperto il covo di via Montenevoso a Milano e Prospero Gallinari era alla ricerca di una sistemazione più sicura).

In una prima fase ci fu un impegno a ricercare un alloggio per Gallinari, ma poi si ritenne preferibile ospitarlo in via Massimi 91, dove Gallinari rimase per alcuni mesi dell’autunno 1978, che lasciò poco prima del Natale di quell’anno. È emerso che furono custodite armi in cantina e che fu fornito supporto al brigatista nel trasporto di una borsa, verosimilmente contenente armi, che fu data a una persona a piazza Madonna del Cenacolo. Stando alle dichiarazioni degli interessati, la crescita della pressione e l’insorgere di timori indussero a chiedere a Gallinari di trovare un altro rifugio. L’episodio della latitanza di Gallinari in via Massimi suscita una pluralità di questioni.

Certamente l’indagine ha consentito di scoprire un ulteriore tassello di quell’area di contiguità, talora propensa a trasformarsi in militanza attiva, seppure “irregolare”, che favorì lo sviluppo del terrorismo brigatista. Allo stesso tempo, però, è emersa la sicurezza offerta dall’abitazione di via Massimi, sia per la sua caratteristica di avere un doppio ingresso sia anche per il carattere riservato del condominio.

Va infine considerato il carattere strategico della palazzina di via Massimi che, come ricordato da più testimoni, disponeva di un doppio ingresso, quello su via Massimi e quello, del garage, su via della Balduina. Una delle persone interrogate per la latitanza di Gallinari ha precisato che questi “dava la sensazione di trovarsi comunque a suo agio lì. Il motivo era molto semplice: si usciva dalla porta, si scendeva nel garage e nessuno vedeva né l’ingresso né l’uscita”.

Si può dunque ritenere attendibile che la palazzina in questione abbia avuto un ruolo, quanto meno in relazione allo scambio delle auto fuggite da via Fani. Questo rafforzerebbe la tesi del parcheggio in un luogo chiuso del mezzo per effettuare poi il trasbordo dell’onorevole Moro e abbandonare solo in un secondo tempo l’auto in Via Licinio Calvo.

È anche altamente probabile che la prima prigione di Aldo Moro sia stata in quella palazzina. Nel complesso di via Massimi 91, tra il 1977 ed il 1978, furono fatte modifiche abitative, oggetto di una prima indagine da parte della Commissione. In particolare, risulta che nell’attico della palazzina B fu realizzata una sorta di vera e propria camera compartimentata, un piccolo vano nel quale poteva vivere tranquillamente una persona, costruito sul terrazzo dell’attico e appoggiato ad uno dei muri perimetrali dell’appartamento, in modo da far risultare una delle pareti in muratura. La stanza è situata nella parte di servizio dell’appartamento, cosicché, isolandola con cartongesso da quella padronale, un eventuale soggetto temporaneamente custodito nella “cameretta”, poteva poi avere a sua disposizione lo spazio e i servizi di un miniappartamento.

Purtroppo, però, le indagini della Commissione sono state interrotte dalla fine anticipata della legislatura e quindi non è stato possibile accertare che quella sia stata la prima prigione di Aldo Moro.

(3 – fine) 

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI