Si potesse almeno dire: “Tanto tuonò che non piovve”. Macché: non tuonò nemmeno. La fumata della riunione del Governo è stata, ieri, nerissima. Ci aspettavamo tutti il solito pateracchietto del “salvo intese”, neanche quello abbiamo avuto. Se ne riparla domenica. La Nota di aggiornamento al Documento economico e finanziario (Nadef) che avrebbe dovuta essere approvata questa notte slitta appunto al giorno del Signore. E c’è davvero solo di che sperare in Lui.
Il frullatore dell’election day ha restituito al Paese un quadro politico ancora più angosciante. Da una parte, il Movimento5 Stelle, spaccato alla ricerca delle cause della rovina, e naturalmente incapace di individuarle là dove sono, ovvero nella totale mancanza di un programma sensato e sostenibile e nella gravissima pochezza del leader Luigi Di Maio, del cosiddetto coordinatore Crimi, del garante comico e dell’ex regista Casaleggio. Dall’altra il Pd, ringalluzzito dalla “sconfitta meno tragica” del previsto contro il centrodestra e, soprattutto, dal crollo dei grillini, sconfitta che erroneamente induce Zingaretti e i suoi pochi sodali a credersi in grado di ribaltare i rapporti di forza dentro un Parlamento che però – ops! – è ancora occupato prevalentemente dai grillini, per quanto ormai delegittimati dal voto di buona parte del Paese. Quindi Zingaretti mette il broncio e accenna a scaramucce e quegli altri ricambiano.
Al centro, il Premier, Giuseppe Conte; e in alto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Entrambi, diversamente, convinti del fatto che non esistano soluzioni migliori del “tirare a campare”, andreottianamente sempre meglio del “tirare le cuoia”. Conte ha deciso: nella vita vuol fare politica. È stato indicato dai 5 Stelle, ma oggi annovera in quelle fila i suoi peggiori nemici: quindi si sente più martire che miracolato, e c’ha pure un po’ di ragione. Mattarella rispetta scrupolosamente il dettato costituzionale e quindi senza inequivocabili incidenti parlamentari non si sogna di forzare “napolitanamente” la mano in alcuna direzione. Inoltre, pare si chieda – almeno così sussurrano i quirinalisti – che senso avrebbe indurre in qualche modo (ammesso si possa) le elezioni anticipate per poi ritrovarsi, all’indomani del nuovo voto senza riforma, nelle stesse condizioni di prima, solo con Pd e 5 Stelle a parti invertite, primo Zinga secondo Grillo, e nuovamente indecisi a tutto per mancanza di alternative praticabili; o, peggio secondo il Colle, ritrovarsi con un centrodestra primo raggruppamento senza maggioranza e senza alcuna possibilità di crearne una.
E dunque? Dunque si tira a campare sperando chi nel fattore esterno che irrompa sulla scena imponendo concretezza – una bella intemerata di Dombrovskis che ricordi agli Stati membri indisciplinati che i soldi del Recovery non sono la Befana e vanno meritati – e chi nella distrazione del fattore esterno, capace di farci avere soldi immeritati.
Per la cronaca: lo slittamento dell’ok alla Nadef a domenica sarebbe stato imposto dalla trasferta a Bruxelles nelle giornate di giovedì e venerdì, del premier Giuseppe Conte. Peraltro con la Nadef si dovrebbe cominciare a discutere dei decreti sicurezza, tema su cui la coesione della maggioranza si circoscrive alle parolacce contro il loro autore, Matteo Salvini, ma non si estende all’unanimità sul modo migliore di riscriverli…
Alla faccia della “nuova fase” del dopo-elezioni. Calligraficamente, la Nadef avrebbe dovuto essere varata entro il 27. Poi, si sa, nessuno deve impiccarsi al calendario: ma stia bene attenta l’Italia a non far venire in mente ai mercati che tanta indisciplina potrebbe ancora indurre reazioni punitive dall’Europa. Sarebbe la fine. I nostri stipendi pubblici e soprattutto le nostre pensioni e la nostra sanità – le tre maggiori voci di costo della spesa pubblica – sono già pagate dall’Europa, sotto forma di acquisto di titoli di Stato da parte della Bce per interposta Banca d’Italia. Se alla bancona europea saltasse la mosca al naso, saremmo in ginocchio in quindici giorni. Ma non tra due anni, non tra uno: domani.
Quindi si sveglino questi del Governo e dei partiti che lo sostengono. O ci si mette in riga o nessun Covid ci impedirà di fallire. Non siamo la Grecia, certo. Siamo quattro volte più grandi. Ma stiamo già facendo il doppio dei casini. Non a caso a giugno lo spread rispetto al Bund tedesco è stato peggiore per i nostri Btp che per i titoli di Stato greci. Capito l’antifona?