La Open Arms – al centro del processo in corso contro il vicepremier italiano Matteo Salvini – batte bandiera spagnola ed è gestita da una Ong con base a Barcellona. Quale sia la politica di Madrid verso i flussi migratori dall’Africa – immutata da anni, sia con governi di centrodestra che di centrosinistra – resta tragicamente agli annali alla data del 24 giugno 2022. Allora circa 450 persone ammassate al confine con l’enclave spagnola di Melilla tentarono di varcare la frontiera Ue, ma vennero respinte, non è mai stato chiaro da chi. È certo che erano entrate in una zona di controllo della guardia civil spagnola, che però non ha mai voluto fornire i video delle telecamere di sicurezza. È noto che 24 migranti persero la vita nello “sgombero” cui sicuramente parteciparono i poliziotti marocchini, che usarono anche gas irritanti.



L’episodio era stato preceduto dallo spettacolo – analogo e terribile – delle migliaia di migranti dal Medio Oriente che la Turchia di Erdogan ammassò nel febbraio 2020 (pochi mesi dopo l’incidente Open Arms) alla frontiera greca: furono respinti con gli stessi metodi usati dalla Spagna e le massime autorità Ue (la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e l’allora presidente del Parlamento europeo, il dem italiano David Sassoli) volarono ad Atene per dare pieno appoggio alla linea dura del premier greco Kyriakos Mitsotakis.



Il fatto più clamoroso – all’incontrario – rimane tuttavia l’abbordaggio militare al porto di Lampedusa condotto da una “cugina” della Open Arms, la Sea Watch 3, nel porto di Lampedusa, violando l’alt del governo italiano alle frontiere marittime esterne della Ue. La nave – armata da una Ong tedesca – batteva allora bandiera olandese (oggi è passata al registro tedesco) ed era comandata dalla “capitana” Carola Rackete, tedesca (appena eletta nell’europarlamento nelle liste dell’estrema sinistra assieme all’italiana Ilaria Salis).

Bene: nei giorni scorsi il cancelliere tedesco Olaf Scholz (socialdemocratico appoggiato da verdi e liberali) ha annunciato una stretta d’emergenza sugli ingressi di migranti, chiudendo di fatto le frontiere ad irregolari e richiedenti asilo. La motivazione è nell’aggravarsi degli episodi di violenza provocati in Germania da immigrati irregolari; e dal conseguente clima d’opinione che si va riversando nel voto locale per partiti anti-immigrati di destra (AfD) e di sinistra (Bsw). La mossa tedesca ha suscitato le paradossali proteste di Viktor Orbán, premier della confinante Ungheria e presidente semestrale di turno della Ue.



Berlino non è stata tuttavia l’unica capitale ad alzare i muri verso i migranti. Anche il governo olandese ha appena annunciato il passaggio alla linea dura contro i flussi incontrollati di migranti. L’Aja potrebbe spingersi addirittura a chiedere l’opt-out dagli Accordi di Dublino. In Olanda l’esecutivo è oggi guidato da Dick Schoof, un tecnico molto speciale: fino a tre mesi fa era infatti il capo dei servizi di intelligence e in passato ha gestito anche l’agenzia pubblica sull’inserimento dei migranti. A sostenerlo vi è principalmente il Pvv – il partito del leader anti-migranti Geert Wilders, grande vincitore delle ultime elezioni – assieme ad altre tre formazioni moderate (fra cui il Vvd dell’ex premier Mark Rutte, appena designato segretario generale della Nato).

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