Quello che si sta verificando a Padova in questi giorni segue di poche settimane quanto accaduto a Milano in merito all’iscrizione all’anagrafe di bambini nati grazie alla procreazione medicalmente assistita (Pma) da coppie omosessuali.

La Procura di Padova ha infatti chiesto al Comune di trasmettere gli atti dell’iscrizione all’anagrafe dei figli di coppie omosessuali a partire dal 2017. Sono stati identificati 33 bambini, registrati con una pratica contra legem rispetto all’assetto normativo attuale, ma, ciò nonostante, diventata prassi in diversi comuni, come forma di disobbedienza civile giustificata dalla tutela dei diritti dei bambini.



È il punto chiave che merita un approfondimento: può la tutela di un presunto diritto, non sufficientemente dimostrato, giustificare un comportamento che contraddice palesemente la legge, creando una potenziale azione diffusiva della disobbedienza civile anche in altri ambiti e contesti?

Si tratta di un tema molto delicato che presenta due aspetti diversi, che ruotano intorno alla dialettica diritti-doveri e finisce, come è naturale, in una vera e propria forma di disobbedienza civile. Fermo restando che il supremo interesse del bambino va sempre e comunque tutelato, resta da dimostrare se l’iscrizione automatica all’anagrafe di un bambino nato da una coppia omosessuale sia da considerare tra i suoi diritti fondamentali.



Da un lato, infatti, l’iscrizione all’anagrafe investe la vita di bambini, figli di coppie omosessuali con i loro diritti, che sembrerebbero compromessi nel caso non ci fosse, all’atto della loro nascita, questa trascrizione automatica dei nomi delle due donne che si definiscono madri, con parità di ruoli e responsabilità, o dei due uomini che si definiscono padri, anche loro con parità di ruoli e responsabilità. Ogni bambino, in questo modo, avrebbe due padri o due madri, nonostante la Costituzione parli in modo chiaro ed esplicito di un padre e di una madre, come conferma la biologia, anche nel caso della Pma.



Qual è il vero diritto del bambino: avere un padre e una madre o essere iscritto all’anagrafe, all’atto della nascita con il nome di due padri o di due madri? Cosa tutelerà meglio il suo futuro: essere accolto in una famiglia che lo ama e gli offre le migliori occasioni possibili per la sua vita futura, a cominciare dalla sua educazione, o vivere in un contesto familiare in cui lo stile abituale è quello di tipo trasgressivo, perché ogni cosa può essere giustificata se si desidera raggiungere un determinato obiettivo?

L’iscrizione all’anagrafe di bambini nati grazie alla Pma da coppie omosessuali, infatti, rappresenta una vera e propria forma di disobbedienza civile, dal momento che la stessa legge 40, che regola la Pma, esclude questa opportunità. La legge è stata recentemente confermata dalla sentenza della Cassazione che è alla base della circolare Piantedosi, con la quale il Governo Meloni suggeriva di accedere alla stepchild adoption per essere riconosciuti come genitori, nei casi delle coppie omosessuali. L’iscrizione all’anagrafe di questi bambini come figli di due padri o di due madri costituisce infatti una vera e propria forzatura della legge, che apre la strada a molte altre forme di disobbedienza civile. Basterebbe in questo caso considerare ingiusta una qualsiasi delle attuali norme per sentirsi autorizzati a trasgredirla, sostituendola con la propria valutazione dei fatti. Forzare il Parlamento a deliberare in un determinato modo, ricorrendo alla disobbedienza civile, è un vero e proprio ricatto difficile da accettare in un contesto democratico come il nostro.

Il sindaco di Padova Sergio Giordani, sollecitato a rispondere alle polemiche che si sono scatenate in questi giorni, ha affermato: “In coscienza non posso immaginare di negare atti amministrativi che mi competono come ufficiale di Stato Civile, dai quali derivano i diritti fondamentali di questi piccoli, e quindi confermo le modalità e le procedure che fin dal 2017 sono state applicate da me e dal Comune di Padova, comunicando tutte le registrazioni alle autorità competenti, come sempre fatto”.

Il sindaco però non ha fatto alcun riferimento alle possibili conseguenze che ciò potrebbe determinare nel caso si diffondesse la pratica della disobbedienza civile, con un conseguente sovvertimento dell’ordine civile legato al rispetto delle leggi. In questo caso i diritti di molte persone potrebbero risultare compromessi. Eppure, Giordani afferma di non aver commesso alcun reato: “Ho il massimo rispetto per il lavoro della Procura che agisce nelle sue funzioni e alla quale abbiamo inviato ogni volta gli atti delle iscrizioni”. In altri termini il sindaco ritiene di aver pienamente rispettato il lavoro della Procura con l’invio degli atti, a prescindere dal fatto che la stessa iscrizione non fosse conforme alla legge. Ora spetterà al Tribunale valutare se intervenire o meno sulla questione.

Vale la pena ricordare che in precedenza il prefetto Raffaele Grassi aveva inviato a tutti i sindaci della provincia di Padova una circolare per invitarli a rispettare la sentenza della Cassazione che blocca i riconoscimenti anagrafici per i figli delle coppie arcobaleno. Ma il sindaco aveva ignorato la sua circolare, accogliendo ai primi di aprile l’ennesima richiesta di iscrizione di una coppia di donne. In quella occasione la Prefettura aveva annunciato che avrebbe informato l’autorità giudiziaria “affinché potesse valutare l’eventuale esercizio, in sede civile, dell’azione di rettifica degli atti così formati”.

Si sta creando evidentemente un conflitto tra i diritti dei bambini, che potrebbero vedere cancellato uno dei due genitori dal proprio certificato di nascita, e i doveri del “sindaco”, esplicitamente dichiarati nella legge 40, nella sentenza della Cassazione, nella circolare del ministro dell’Interno e ora dal prefetto di Padova. Ovviamente la mancata trascrizione di uno dei due nomi nel certificato di iscrizione all’anagrafe non avrebbe certamente compromesso la volontà di amare quel bambino e di prendersene cura, ma avrebbe impedito di trascrivere qualcosa che non solo non è prevista, ma è esplicita proibita dalla legge.

Il quesito da affrontare allora richiede di verificare se davvero i diritti dei bambini nati in famiglie arcobaleno sarebbero compromessi da una mancata trascrizione automatica della loro nascita nei registri dell’anagrafe e valutare d’altra parte tutti i rischi connessi con la diffusione della disobbedienza civile. L’alternativa, nel primo caso, come è noto è quella di ricorrere alla stepchild adoption, sottoponendola al giudizio di un magistrato. Nel secondo caso l’alternativa è quella di una diffusione della illegalità, che potrebbe diventare sempre più difficile da controllare e soprattutto apparirebbe legittimata dalla illustre posizione dei trasgressori istituzionali.

Vale la pena ricordare inoltre che l’orientamento dell’attuale Governo vuole rendere reato universale l’utero in affitto, considerando che si tratta di un vero e proprio sfruttamento della madre gestazionale, non solo del suo corpo!, i cui diritti sono spesso calpestati, come confermano numerose storie raccontate dalle stesse madri gestazionali. In questo caso il conflitto tra i diritti delle persone coinvolte potrebbe davvero rappresentare una ipotesi di studio meritevole di ulteriore approfondimento e non di decisioni affrettate e sprovviste di fondamento normativo.

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