Ospite speciale del programma Le Iene, ieri sera l’ex magistrato Luca Palamara, radiato dall’ordine in seguito a provvedimento disciplinare, ha cominciato a togliersi qualcuno dei tanti sassolini nelle scarpe di cui ha promesso di volersi liberare del tutto. “Così funziona la magistratura: nomine, carriere e lotta tra le correnti, e chi non fa parte di una corrente viene certamente penalizzato. Se un candidato non ha l’appoggio, non riesce a diventare procuratore della Repubblica” ha detto, arrivando anche a difendere Berlusconi, dicendo che l’allarme da lui lanciato sulla politicizzazione della magistratura non era infondato. “La magistratura, usando il caso Palamara senza fare un processo regolare, senza permettergli di portare in aula i testimoni che aveva chiesto – dice Frank Cimini, giornalista, tra i primi a seguire il caso Tangentopoli e fondatore del blog giustiziami -, ha fatto muro per autoassolversi. Adesso lo trattano come un povero disperato, che si sfoga perché è stato condannato”.
Palamara con le sue “rivelazioni” può rompere l’omertà della magistratura politicizzata?
Secondo me no. Adesso viene trattato come un disperato, come un pazzo, dopo quello che ha combinato. È un po’ quello che è successo con Moro prigioniero delle Br, se mi è consentito fare questo paragone.
Cosa intende dire?
Come dissero di Moro, oggi dicono di Palamara che non è più credibile perché è stato condannato. E adesso lui reagisce in modo osceno.
Tra Anm e Csm, dove si può incrinare prima il fronte?
Credo che difficilmente il giocattolo si romperà, anche se dovrebbe rompersi. La magistratura ha utilizzato questo caso per ricompattarsi al suo interno, devono fare muro per non rompere il giocattolo. Hanno condannato Palamara per autoassolversi. Se avessero condotto un processo regolare, dandogli almeno una parte dei testimoni chiesti, non avrebbero retto. La magistratura ha avuto tutti i giornali a favore, ma nonostante questo non avrebbero mai rischiato di fare il processo.
Perché?
Per la stessa ragione per cui a Brescia non fecero il processo a Di Pietro. Il fatto che si discutesse in aula che D’Adamo gli pagava anche le mutande nella boutique di Porta Venezia, solo quello era già una pena. La magistratura non poteva permettersi un disciplinare regolare e per questo hanno fatto un processo sommario.
Palamara ha dato ragione a Berlusconi nei suoi attacchi alla magistratura. Vede differenza fra i due e le loro accuse?
No, sostanzialmente non c’è differenza. È chiaro che la magistratura fa politica. È paradossale, ma significativo, che Berlusconi, e con lui Forza Italia, il partito che più si è scontrato contro la magistratura, sul caso Palamara sia rimasto in silenzio.
Come mai?
È una delle tante cose strane di questa storia, ma neanche tanto. Avrebbero avuto la possibilità di attaccare la magistratura con il troian di Palamara, di cercare una rivalsa sulla magistratura, invece tutta la politica è stata zitta, perché sa di essere ricattabile, ha paura. I politici continuano a fare quello che hanno sempre fatto e hanno paura della magistratura. Diceva un avvocato anni fa: la magistratura ha ragione a dire che Berlusconi è un delinquente, ma Berlusconi ha ragione a dire che la magistratura ce l’ha con lui. La maggior parte dei processi contro di lui era fondata, ma una parte minoritaria, come il caso Ruby, dimostra un accanimento contro Berlusconi che non si è mai visto nella storia contro nessuno.
Si può dire che il caso Palamara diventa un meccanismo di autoprotezione della magistratura?
Su questo non c’è dubbio. Nella loro logica erano obbligati a violare le regole del giusto processo. Farlo significava screditarsi. La magistratura non si fa processare, è come quando Moro disse: non ci faremo processare nelle piazze. La magistratura, come la politica, non vuole il controllo di legalità su se stessa, come non lo vuole Davigo, che fa di tutto per restare nel Csm anche se deve andare in pensione. Ma è una logica che va al di là dei suoi interessi: non è che lo facciano perché gli vogliono bene; se andasse via, si altererebbero gli equilibri delle correnti. Sono i primi a non rispettare le regole.
Palamara dice che la partita non è ancora finita. Lei che dice?
Come cittadino e giornalista lo vorrei sperare, ma sono molto scettico, perché si sono ricompattati. Ho l’impressione che chiudano tutto, continuano a fare le nomine come sempre hanno fatto, non vogliono cambiare. Il messaggio che arriva è questo: a loro va bene così, però pare che vada bene a tutti, dai giornali alla politica, e non vedo vie di uscita. Il caso Palamara ricorda quello di Tiziana Parenti, quando indagava sulle mazzette del Pci. Fu messa in condizioni di non nuocere, anche lei trattata come una pazza e costretta a dimettersi. Quando esci da certe logiche sei finito. È il sistema che li garantisce ed è più forte della verità.
(Paolo Vites)