La Corte Costituzionale ha tradito la Costituzione con la sentenza sulle intercettazioni ai politici: a sostenerlo è Nicolò Zanon, che da un mese non è più giudice costituzionale. Ne ha parlato mercoledì sera a Milano, durante la presentazione del libro “La gogna. Hotel Champagne la notte della giustizia italiana” di Alessandro Barbano, alla quale sono presenti anche l’ex procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati, Guido Camera e Oscar Giannino. «Quella sentenza della Corte costituzionale sulle intercettazioni rovescia la Carta, la mette sotto i tacchi. Tanto è vero che Franco Modugno, inizialmente uno dei relatori, non la firma», ha rivelato Zanon.
Il riferimento è alla sentenza sul caso Cosimo Ferri, con cui la Consulta evitò di sconfessare la Cassazione e la sezione disciplinare del Csm sulla famigerata notte dell’Hotel Champagne. In quella camera di consiglio sarebbero stati schiacciati i principi costituzionali per una logica corporativa. Quella scelta suscitò l’indignazione del relatore Franco Modugno, che si rifiutò di sovvertire i principi costituzionali e scrisse una sentenza opposta a quella redatta poco prima nel caso che riguardava Matteo Renzi.
IL REGOLAMENTO DI CONTI NELLA MAGISTRATURA
Il libro di Barbano racconta proprio di quella stagione della magistratura che ha portato a cambiare le dinamiche di potere nel Csm, grazie al trojan inserito nel telefono di Luca Palamara, che carpì le trattative delle delle correnti attorno alla nomina del nuovo procuratore di Roma. Quella sera c’erano anche due parlamentari, come Cosimo Maria Ferri, finito davanti alla sezione disciplinare del Cdm per quelle castrazioni. La Camera l’anno scorso negò l’uso delle conversazioni, perché acquisite in violazione dell’articolo 68 della Costituzione. Una violazione consapevole per i deputati, infatti l’allora deputato Andrea Del Mastro (FdI) parlò di «regolamento di conti interno alla magistratura». Dalla lettura degli atti emerse chiaramente che, ben prima di quella cena, gli acquirenti fossero a conoscenza della possibilità di imbattersi in Ferri. Da qui il legittimo dubbio che Ferri, seppur mai indagato, fosse un bersaglio delle indagini. La giunta per le autorizzazioni, come ricostruito da Il Dubbio, evidenziò che gli investigatori avevano contezza che si sarebbe svolto l’incontro e che vi avrebbero partecipato due deputati, «ma non hanno avuto cura di interrompere un’attività investigativa che non poteva essere effettuata con quelle modalità». Dopo il no della Camera, il Csm sollevò il conflitto di attribuzioni facendo finire la vicenda alla Consulta, che diede ragione a Palazzo dei Marescialli e rispedì la questione alla Camera. Quella sentenza fece esultare i “giustizialisti”.
“MODUGNO SI RIFIUTO’ DI SCRIVERE UNA SENTENZA CHE ROVESCIAVA LA COSTITUZIONE SULLE INTERCETTAZIONI”
Ora Nicolò Zanon offre un differente punto di vista. «Nel non detto di quella motivazione, e a noi fece inviperire questa cosa, c’è (e fu un argomento speso): non è pensabile che si dia ragione alla Camera, perché se diamo ragione alla Camera le intercettazioni acquisite diventano prove non più valide e il rischio a catena che tutti i processi disciplinari di fronte alla sezione, quei cinque che erano stati imbastiti contro quegli sventurati partecipanti alla serata all’Hotel Champagne, finissero in nulla», ha dichiarato, come riportato da Il Dubbio, l’ex giudice costituzionale. A proposito del professor Franco Modugno, ha rivelato che di fronte a quella scelta della maggioranza del collegio «si rifiutò di scrivere una sentenza cui sostanzialmente si rovescia quello che la Costituzione dice in tema di intercettazioni». Per Zanon quelle intercettazioni, nate per trovare una corruzione mai esistita, diventarono un modo per approfondire i rapporti tra Unicost e MI e le «dinamiche interne addirittura al pluralismo della magistratura come si sviluppa all’interno del Consiglio superiore», con la convinzione «che queste dinamiche sono viziate in radice da interessi opachi. Però questa opacità non si capisce bene in termini penali davvero da che cosa sia dovuta».
La sentenza della Corte Costituzionale rovesciò la Costituzione in tema di intercettazioni, perché di fatto si disse «”basta evitare di iscrivere il parlamentare sul registro degli indagati anche se di fatto lui è al centro dell’indagine per poterlo intercettare”, perché i fatti che noi avevamo visto negli atti dimostravano con ogni evidenza che la direzione delle indagini era Cosimo Ferri e i suoi rapporti con Palamara». Pertanto, «la Carta finisce, come dice Barbano, sotto i tacchi». Per Zanon questa vicenda mostra «alcuni raccordi, equilibri tra poteri dello Stato». Ma l’ex giudice costituzionale ha precisato: «Adesso queste cose è anche giusto dirle, d’altra parte c’è un palese dissenso che emerge per tabulas dal fatto che il relatore si è rifiutato di stendere una motivazione che andava esattamente in senso contrario a quella che aveva appena scritto sul caso Renzi. Punto».