Chissà se Sergio Mattarella si è davvero divertito nel leggere ieri mattina i retroscena dei giornali. Chi lo conosce bene è pronto a scommettere di no, eppure il termine “divertito stupore” è quello utilizzato nella nota di precisazione diramata dall’ufficio stampa del Quirinale.

Divertito stupore per una ricostruzione “decisamente fantasiosa”, quella di tre quotidiani (Repubblica, La Stampa e Il Giornale), secondo cui il faccia a faccia fra il capo dello Stato e la premier Meloni sarebbe da mettere in stretta correlazione con altri due colloqui che Mattarella avrebbe avuto, quelli con l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi, e con il commissario europeo all’Economia, Gentiloni. Oggetto dei confronti l’attuazione del Pnrr, e i ritardi (veri o presunti) che l’Italia starebbe accumulando.



Di fatto quello che viene adombrato da alcuni retroscena è la creazione di una sorta di cabina di regia a quattro, che avrebbe lo scopo di indirizzare l’azione del Governo. Mattarella viene dipinto come una sorta di lord protettore dell’esecutivo, e la Meloni come un premier sostanzialmente commissariato, e proprio sulla partita più delicata.



Forse sta nell’enormità di questa insinuazione il “divertito stupore” del presidente della Repubblica. Chi lo conosce bene sa che non c’è nulla di più lontano dal suo modo di interpretare il proprio ruolo al Quirinale dall’immaginarlo intento a scavalcare quello di altri poteri dello Stato, in primis il Governo.

Certo, Mattarella non vive sulla luna, si tiene informato su tutto e parla con tutti. Con Draghi, ad esempio, si è visto una decina di giorni prima del colloquio con la Meloni. Ma le due cose, assicurano dal Quirinale, non possono essere messe in correlazione. Sarebbe scorretto e sbagliato. Per di più tutti i segnali lanciati in tema di Pnrr vanno nel senso di un sostegno all’azione del Governo. “Tutti alla stanga”, ha detto Mattarella pochi giorni fa, citando una famosa frase di Alcide De Gasperi. Traduzione: tutti a tirare il carretto, basta con le polemiche, il Pnrr è una opportunità che non può essere mancata.



Del resto, Meloni i problemi ce li ha in casa, più che con il Quirinale. Precipitosamente ha dovuto zittire il capogruppo leghista alla Camera Molinari, reo di aver proposto di rinunciare a una parte dei finanziamenti a disposizione. Nella parte a debito, naturalmente. Si dà il caso che quel debito verrà contratto a tassi straordinariamente vantaggiosi, quindi costituisce un’occasione di sviluppo da non perdere. La premier ha spiegato di non aver intenzione di rinunciare a nulla e per questo di aver avviato una revisione dei progetti per depennare quelli che certamente non ci sarà il tempo di completare entro il termine tassativo del 2026 imposto dall’Europa, spostando le risorse altrove.

E una sponda inaspettata (imprevista per i commentatori tifosi del naufragio del Governo) è arrivata proprio da Gentiloni. Per rinegoziare c’è certamente un margine, ha spiegato, assicurando che quando arriveranno le proposte italiane la Commissione è pronta ad esaminarle “con il massimo di collaborazione e di flessibilità”. Gentiloni ha spiegato che già sono stati approvate le revisioni dei piani di Germania, Lussemburgo e Finlandia. Non ci sono ragioni, quindi per un no preconcetto all’Italia.

Se c’è una cosa su cui Mattarella può spendere la propria moral suasion è proprio il favorire il dialogo fra Roma e Bruxelles. E molti indizi lasciano immaginare che questa azione sia da tempo in atto. La più consapevole sembra Meloni, che sinora ha evitato contrapposizioni frontali. Nemmeno quando dagli uffici del Quirinale sono state chieste correzioni agli schemi di decreti legge trasmessi  per la firma. È il segno della consapevolezza che questa funzione di vigilanza preventiva è stata svolta da Mattarella con qualunque governo, da Renzi a Draghi. Sempre però nella massima discrezione e con quello spirito di leale collaborazione istituzionale che rappresenta la cifra dell’azione dell’attuale Capo dello Stato.

Certo, alcune uscite della maggioranza di centrodestra possono fare storcere il naso dalle parti del Quirinale (ultima, La Russa su via Rasella). Ma la cooperazione non mancherà, nell’interesse del Paese. A patto che vi sia lealtà da entrambe le parti, con buona pace di chi soffia sul fuoco dello scontro istituzionale.

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