“Il dramma di Carles Puigdemont che improvvisamente si è rovesciato sulla giustizia italiana nasce da un equivoco di fondo; la pretesa della destra spagnola, allora al governo, di risolvere per via giudiziaria una questione eminentemente politica come fu il referendum per l’indipendenza della Catalogna, nell’ottobre del 2017. Quel referendum era illegale, è vero. Ma risolvere la questione incarcerando per ‘ribellione’ e ‘sedizione’ i dirigenti politici liberamente eletti da un’intera regione è stato uno strappo alla logica democratica che ha fatto male in primo luogo alla Spagna e all’Europa intera. Da quel momento l’equivoco giudiziario è rimbalzato senza più controllo in Belgio, in Germania, al Parlamento europeo, alla Corte di Giustizia Ue e alla fine è piombato sulle spalle dei giudici sardi”.
Non è importante chi abbia scritto queste righe su un quotidiano italiano ieri mattina, in una news analysis in sé ineccepibile sul piano giornalistico. Non è neppure rilevante citare la testata – che si usa collocare nel fronte “progressista”, “democratico”, “europeista” – per tentare un gioco: quello di sovrapporre lo schema analitico all’Italia del 2019.
Allora un vicepremier-ministro dell’Interno di un esecutivo con piena fiducia parlamentare, emerso l’anno prima da libere elezioni democratiche, fu messo ripetutamente sotto inchiesta da diverse magistrature: che trasformarono in “equivoco giudiziario” una “questione eminentemente politica” (ma prima ancora di governo, di Stato) come la gestione dei flussi migratori dall’Africa sulle coste siciliane. Un “dramma” – quello di Matteo Salvini – che si consumò politicamente nel ribaltone di governo dell’agosto 2019: quando fu “espulso” in termini politici non troppo diversi rispetto a quanto era avvenuto a Puigdemont.
La svolta italiana avvenne dopo: “libere elezioni democratiche” in Europa nella quali non solo il leader catalano fu eletto a Strasburgo, ma anche la Lega italiana ottenne una schiacciante vittoria elettorale. E quest’ultima aveva autorizzato il suo leader a chiedere un voto politico anticipato (nella Gran Bretagna, culla della liberaldemocrazia moderna, si sono tenute già tre “snap elections” negli ultimi sei anni). Invece a Roma hanno governato poi per 18 mesi i partiti che avevano perduto nettamente il voto politico 2018 e e quindi l’eurovoto 2019 (e nessuno di quei partiti ha poi recuperato realmente terreno, neppure nei sondaggi).
L’effetto “di rimbalzo fra Germania, Belgio e Parlamento europeo” nel caso italiano è d’altronde noto: una motovedetta militare italiana che stava proteggendo le acque territoriali su ordine dell’Interno (responsabile della sicurezza sul territorio nazionale), fu speronata da una nave-Ong (olandese) comandata da una cittadina tedesca. Su quest’ultima non vi furono “equivoci giudiziari” neppure minimi. I magistrati italiani non ritennero neppure di trattenerla in custodia cautelare – o almeno in Italia – per alcuna ipotesi di reato. La “capitana Carola” fu subito rilasciata, libera di tornarsene in Germania e girare il mondo per raccontare la sua “vittoria di Lampedusa” (anche al Parlamento europeo). E meno che mai qualche magistrato italiano le ha mai dato caccia senza quartiere all’estero come la Corte suprema spagnola ha fatto con l’eurodeputato catalano.
Nell’estate 2019, intanto, il nuovo organigramma della Ue fu sottoscritto a Bruxelles anche dal premier Giuseppe Conte, dando assenso politico all’ascesa alla presidenza dell’europarlamento di David Sassoli: deputato della forza politica (S&D-Pd) più nettamente battuta al voto, sia in Ue che in Italia. E il primo atto del Conte 2, dopo il ribaltone maturato, fu la nomina a commissario Ue di Paolo Gentiloni, premier in carica al termine di un’intera legislatura governata dal centrosinistra. Battuto nel 2018 con l’intero Pd.
Last but not the least: nell’autunno 2017 non si tenne solo il referendum “illegale” che portò Puigdemont a dichiarare l’indipendenza della Catalogna. Si tennero, in Italia, due referendum perfettamente legali: quelli indetti dalle Regioni Lombardia e Veneto, che certificarono il fortissimo favore degli elettori (in Veneto il 57% dell’intero corpo elettorale) verso forme di rafforzamento dell’autonomia ordinaria. Sono passati quattro anni e quella richiesta democratica (senza virgolette e sottoscritta altrettanto democraticamente dalla Regione Emilia Romagna) è ancora lettera morta. Chissà cosa ne pensa Puigdemont. Chissà cosa ne pensano i commentatori che accusano l’Europa di condurre una “politica dello struzzo”.
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