Sembra non trovare pace la vicenda del giovane ricercatore italiano, dottorando dell’Università di Cambridge, che venne rapito il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir e venne ritrovato senza vita il 3 febbraio successivo nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani.
Il mistero sembra tutt’oggi fermo ai silenzi del paese che ospitò gli ultimi giorni del giovane ricercatore. Dalle mancate risposte all’ultima rogatoria inviata dai magistrati italiani, la primavera scorsa, per trovare riscontri alla deposizione di un testimone che sostiene di aver sentito un poliziotto del Cairo raccontare, durante una trasferta in Kenya, di come avevano arrestato e ucciso Giulio.
Correva l’anno 2019 quando Di Maio pronunciò un ultimatum, l’ennesimo: “Per l’Italia è arrivato il momento di cambiare passo e atteggiamento. Lo stallo con l’Egitto sull’omicidio di Giulio Regeni non è più tollerabile. Per noi la verità sull’assassinio di Giulio è una priorità che non può subire alcuna deroga”.
Ma tutta questa ricerca di verità sembra essersi arenata.
In questi giorni la Commissione Regeni, istituita il 3 dicembre 2019 (dopo vari rinvii e malumori in seno alla maggioranza) ha chiesto di far luce sull’interlocuzione tra il presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica Araba d’Egitto Abdel Fattah Al Sisi in merito alla scelta del Governo italiano di autorizzare un’imponente vendita di armamenti, a partire dalla cessione di due navi militari cui seguiranno in totale circa 9 miliardi di commesse.
Il tutto, recita una nota dello stesso presidente Palazzolo via social (che oramai sono diventati il costume di questa classe politica che sta lentamente implodendo) “rappresenta più di una normalizzazione dei rapporti bilaterali tra Italia ed Egitto. Una scelta, questa, che rischia di pregiudicare la ricerca di verità e giustizia inviando il messaggio sbagliato, ovvero che la morte di Giulio Regeni appartiene al passato”.
Mentre ieri il ministro Di Maio ha risposto in Aula ad un’interrogazione di Leu proprio su tale tema affermando, nel tentativo di sedare gli animi, che “La procedura autorizzativa per la trattativa delle fregate Fremm-Fincantieri è tuttora in corso. Il Governo ha ritenuto di dover svolgere una valutazione politica, in corso a livello di delegazione di Governo sotto la guida del presidente del Consiglio”. Di Maio ha infine sottolineato come “l’Egitto resti uno degli interlocutori fondamentali nel quadrante mediterraneo”, ribadendo: “La verità per Giulio è un’aspettativa fortemente radicata nella nostra pubblica opinione e che il nostro governo reitera con determinazione a ogni occasione di contatto con le istituzioni egiziane a tutti i livelli”.
Dall’Egitto, tutto tace.
Ma un’altra questione invece dovrebbe far riflettere, perché troppe sono le domande senza risposta. Anzitutto, perché la madre di Giulio Regeni chiese di far luce sui rapporti tra l’ex ministro Alfano e lo studio Bonelli Erede Pappalardo dove è presidente Stefano Simontacchi, lo stesso che fa parte del Business council italo-egiziano?
Ma soprattutto Stefano Simontacchi, presidente dello studio Bonelli, dove oggi presta consulenza lo stesso ex ministro Alfano, è lo stesso nominato nelle Task force per la fase 2, il Comitato di esperti in materia economica e sociale?